La prima volta che sono andata a Genova, sono andata a cercare De Andrè nei quartieri del porto dove “l’aria spessa, carica di sale e gonfia di odori” mi ha fatto riconoscere anche dopo vent’anni i luoghi, i personaggi, i rumori delle canzoni della mia gioventù.
Via del Campo era esattamente come l’avevo immaginata per anni e le donne, anche se di colore, buttavano le bacinelle d’acqua per le strade strette lasciando immaginare il vecchio professore dietro le tende sporche delle porte a vetri.
Mi sono sempre chiesta: quante Bocche di rosa ha amato De Andrè? E le ha amate come donne o come icona del suo rifiuto borghese? Non credo sia importante stabilirlo.
Ma il turbamento che ancora adolescente mi provocavano i baci e le carezze di Marinella, quando solo i fiordalisi “videro con gli occhi delle stelle, fremere al vento e ai baci la sua pelle”, parla di un poeta che canta di donne vere, di amore e di sesso senza peccato.
Crescendo, De Andrè mi ha accompagnato nelle mie scelte di impegno militante in una politica che solo i giovani o quelli che restano eternamente giovani, possono amare. Una politica fatta di lotta al potere costituito, dove chiunque si creda assolto è “lo stesso coinvolto”. Canzoni che parlavano di giudici, di gorilla e di bombe di maggio. Canzoni suonate dalla chitarra del nostro innamorato di allora e non sapevi più se il cuore batteva per lui, per De Andrè, o perché credevi veramente che stavi costruendo un mondo migliore.
Non al denaro, né all’amore, né al cielo: come fai a non emozionarti se De andrè canta quello che ogni giorno urli con la tua anima verso un mondo che non ti piace e che ti opprime.
“Mi cercarono l’anima a forza di botte”, ma il “mio giardino incantato”, la mia libertà la trovo come il suonatore Jones che offre “la faccia al vento e la gola al vino”, e dice al mercante di liquori “tu che lo vendi cosa ti compri di migliore”?
Grazie fragile amico Faber
Alla presentazione del libro “L’inganno. Antimafia, Usi e soprusi dei professionisti del bene” di Alessandro Barbano
A Napoli nell’atmosfera del Teatro San Carlo, Alessandro Barbano parla del suo