Inizia con la ricostruzione, nei dettagli, di una bufala l’intervista ad Enza Bruno Bossio.
In esilio forzato <
Condannato, a sua volta, ad essere un sempre potente: ieri potente capo dell’opposizione in Calabria oggi non meno potente vice presidente della giunta regionale.
Francamente avevamo sempre avuto curiosità da soddisfare attorno alle iniziative sia politiche che imprenditoriali di Enza Bruno Bossio, che certo non ha mai avuto voglia di starsene a tesser tele emulando Penelope nell’attesa che il marito ritrovasse la strada di casa.
Nonostante questo, però, non abbiamo cercato di dare concretezza a tali curiosità. Ma da quando è venuta fuori la pista massonica le cose sono cambiate e la voglia di porre un paio di domande ad Enza è diventata incontrollabile.
Possiamo farla una intervista-intervista?
“Possiamo farla ma che vuol dire?”
Vuol dire che si fanno le domande e che si danno le risposte senza pretendere di cambiare le domande o, peggio, di potersele scegliere.
“Va bene facciamola l’intervista”.
L’ultima volta che ci eravamo sentiti al telefono con Enza Bruno Bossio (la cosa è avvenuta nel corso delle rispettive esistenze non più di tre volte), siamo rimasti solo in attesa che terminasse la sequela di accuse che la Enza aveva da scaricarci addosso, condite anche con qualche “complimento” non certo gradevole. Ma è così. A noi toccano pessimi rapporti con i potenti in sella. Si sgomita tanto attorno a chi vede il successo sorridergli. Per contro abbiamo rapporti professionali ed umani molto più fermi e importanti quando, a torto o a ragione, dagli altari si finisce nella polvere. Premessa fatta. Partiamo con le domande.
Ma che ci faceva lei con la Gran Loggia di San Marino. Va bene dall’eskimo al tailleur da manager, ma il grembiulino?
“L’eskimo c’è chi non lo ha mai indossato ed ora predica da leader della sinistra intransigente. E la Gran Loggia di San Marino è un reato impossibile”.
Perché impossibile?
“Perché non è che io non ci sono stata è che non è mai esistita. La Loggia di San Marino, ricordo bene l’episodio ma non la mail servita per rispolverarlo, è una definizione di pura fantasia che Saladino utilizzava per indicare una riunione con amici che insistevano a che noi si partecipasse ad un incontro preparatorio dei lavori della “Fabbrica del Programma”.
La Fabbrica…quella di Prodi?
“Esattamente quella. Ricordo che Piero Scalpellini, che ne era tra gli animatori, insisteva molto perché vi partecipassero anche uomini provenienti dall’esperienza della Compagnia delle Opere io dicevo che era giusto andarci, Saladino ne era meno convinto, e coniava il termine la Gran Loggia di San Marino. Così come in altre occasioni diceva con ironia la gran loggia di Gizzeria per indicare un invito a cena tra amici in quella località”.
Una bufalaccia, insomma, ma resta un rapporto singolare quello tra una donna della sua esperienza e matrice politico-culturale e la Compagnia delle Opere che, se vogliamo, è il braccio operativo di Comunione e Liberazione.
“Ed infatti è con Comunione e Liberazione che arriva il primo contatto. Arriva con un provocatorio invito a partecipare a quel rito che si chiama “La lettura del sabato mattina”. Si riuniscono per una serie di sabati ed avviano, attorno alla lettura di una meditazione di Don Giussani, un dibattito tra voci spesso contraddittorie e diverse. Ci partecipai per curiosità intellettuale. Ero attirata dalla provocazione che veniva dal tentare una contaminazione tra culture diverse. In questo clima partecipai anche al meeting di Rimini del 2004. un percorso alla luce del sole”.
Ma la Compagnia delle Opere non disdegna gli affari.
“Non disdegna il lavoro ma partendo dal rispetto delle regole e diversificandosi rispetto ad altri modelli industriali per l’impegno a mettere sempre al centro di tutto l’uomo. E ben ricordo che a queste manifestazioni ed a questi incontri abbondavano le presenze di industriali, imprenditori, esponenti politici di culture diverse, uomini che lavorano nelle istituzioni. C’era anche qualche magistrato”.
Una sana trasversalità, ma sempre trasversalità…
“E qui occorrerebbe fare attenzione: la trasversalità è cosa diversa dal consociativismo. C’era in quel tentativo di mettere insieme culture e ragioni politiche assai diverse un comune percorso di sviluppo della Calabria. Non c’era da fare affari, c’era da impedire che il consociativismo degli affari creasse nuove ferite allo sviluppo della Calabria”.
Anche detta così resta difficile cogliere la differenza…
“Non direi. La prima differenza era che non c’erano relazioni truffaldine e non c’erano progetti affaristici. C’era invece il tentativo di operare per incidere sul deserto delle aggregazioni e sul trionfo dell’individualismo. Non eravamo un club a numero chiuso e non c’erano cooptazioni da fare. Anzi il tentativo era di reclutare quanti più operatori fossero disponibili al rinnovamento della politica e dell’imprenditoria. Nessuno di noi si voleva candidare e nessuno di noi aveva attività hobbistiche da portare avanti. Addirittura molti stavano sia nella Compagnia delle Opere che negli organismi direttivi dell’Associazione industriale”.
Qualche esempio…
“Uno per tutti, alle nostre riunioni partecipava con puntuale assiduità Filippo Callido quando era Presidente degli industriali calabresi”.
Ma se nessuno restava fuori dov’era la competizione ed il libero mercato.
“E qui ci siamo perché noi qualche avversario lo avevamo. Erano gli avversari che hanno devastato la Calabria degli ultimi venti anni, avventurieri, truffatori e prenditori”.
Ma dove possiamo cogliere la differenza vera, la prova tranquillizzante, insomma anche Licio Gelli diceva che la P2 aveva come progetto la rinascita del Paese…
“Accetto la provocazione ma è facile risponderle che Gelli invocava riservatezza, la sua era una loggia occulta, i nomi dei suoi uomini erano riservatissimi, il mistero circondava ogni loro iniziativa. Esattamente l’opposto dell’attività che io ho vissuto seguendo la Compagnia delle Opere: convegni pubblici, interviste sui giornali, annuari con gli elenchi delle aziende associate, pubblicizzazione degli atti dei convegni e dei seminari. Insomma niente di occulto e soprattutto nessuno sbarramento in nome di un pregiudizio che fosse politico, ideologico o di qualsiasi altro tipo. Anche con il potere politico i rapporti erano chiari: non si mirava certo ad un condizionamento del suo operato in forma occulta o deviante. Si invocava, per contro, chiarezza e rispetto delle regole”.
E tuttavia non pare siate riusciti nella vostra missione.
“Dica pure che siamo stati sconfitti. Sconfitti per via politica, per via mediatica e per via giudiziaria. E la cosa più grave è che non siamo stati sconfitti da un progetto alternativo al nostro, migliore del nostro. Da una parte c’entra il nostro progetto, dall’altra c’è il vuoto assoluto e nel vuoto ognuno si arrangia e nessuno deve dare conto. Una delegittimazione che apre le porte al vero affarismo”.
Si rende conto della gravità di questa accusa.
“E’ una gravità oggettiva. È quello che sta accadendo anche ai partiti”.
Spieghi meglio…
“Abbattiamo i partiti, delegittimiamoli in blocco e buttiamo tutto alle ortiche. Si immagini, non sarei certo io e non certo oggi a lamentarmene, ma dopo cosa resta: il vuoto assoluto. Ampie praterie per avventurieri di ogni foggia e risma”.
Imprenditoria e politica. In famiglia, da lei, era una sintesi unica, forse anche questo ha nuociuto.
“Non nel mio caso. Il progetto era diverso ed era tale che se anche mi fossi messa a fare centrini all’uncinetto avrebbero trovato da ridire, magari ipotizzando che facevo centrini perché conveniva a mio marito. O viceversa”.
O viceversa. Appunto. No dico viceversa, nel senso che vorrei chiederle, a questo punto, se lei ritiene che abbiano voluto attaccare Nicola Adamo attraverso Enza Bruno Bossio o viceversa.
“Direi che non è dispiaciuto fare entrambe le cose. Certo, era prioritario colpire Nicola Adamo e quale strada migliore che tacciare di affarismo sua moglie che traeva vantaggi dal ruolo politico del coniuge. Ma anche io davo qualche problema ad un certo mondo imprenditoriale”.
Ho capito. Ma lei con tutti quegli incarichi gli ha reso le cose abbastanza facili.
“Quali incarichi? Era il mio lavoro. Non ero azionista di nulla e non avevo utili. Non ho fatto affari e non ho intascato soldi. Vediamo Tecnosud: lì il problema non può essere chi ha preso i soldi perché a Tecnosud soldi non ce ne sono mai stati”.
E vediamo anche tesi…
“Si, vediamola Tesi. Dicono che le indagini si interessano al saccheggio di Tesi. Clic arriva a Tesi quando da saccheggiare non c’era un bel niente. Per capirci bene e fuori da giri di parole, quando il sub commissario per l’Ambiente dava lavori a Tesi, Clic era fuori ed anzi protestava per quei lavori affidati in quel modo. E quando i ricorsi contro Tesi ebbero la meglio, Tesi venne svuotata ed abbandonata. È a quel punto che arriva Clic per vedere se si poteva risanare e ripartire. Altro che saccheggio di Tesi”
Scusi ma perché non lo spiega al magistrato tutto questo.
“Cerco di farlo. Ho spedito al dottor De Magistris ben tre richieste di essere ascoltata. Non ho ricevuto nessuna risposta e nessuna convocazione. Non mi resta che chiedere di fare dichiarazioni spontanee visto che contestazioni non me ne vengono fatte”.
È inedito questo suo carteggio con De Magistris?
“Si, fino ad oggi non ne avevo mai voluto parlare. Ho scelto di difendermi nel processo e non dal processo. Al punto che mi viene da fare una istanza per chiedere che se non mi vuole interrogare almeno mi si mandi subito a giudizio. Non sono un politico non ho da temere contraccolpi se vado davanti al giudice. Almeno lì saprò cosa mi si contesta e potrò dare le mie spiegazioni”.
E comunque se lei insiste a scrivere a De Magistris vuol dire che quantomeno ne riconosce la buona fede.
“Io non devo riconoscere niente a nessuno. Io debbo rispettare le regole e le leggi. Ma non vorrei ritrovarmi ad essere la sola a farlo”.
Paolo Pollichieni