“Vogliamo rimettere in discussione tutto non perché siamo anticonformisti, ma perché siamo riformisti”. (Sansonetti)
E da qui dobbiamo partire: il vento del Sud non può che essere un vento riformista.
Un vento ambizioso: oggi nessuno in Italia ha dimostrato di saper portare avanti una politica riformista capace di concepire il Sud come una risorsa, un’opportunità per tutto il paese.
Vince il populismo: di destra e di sinistra.
E con il populismo la subcultura e la politica dello scandalismo che ingabbia il Sud, e in particolare la Calabria, in un immaginario collettivo di degenerazione e abbandono.
I problemi nel rapporto politica- società nel Mezzogiorno ci sono e non si possono negare né alcuno può autoassolversi.
Ma vanno affrontati individuando puntualmente proposte politiche riformiste in grado di intervenire sulle sacche degli sprechi e del parassitismo. Cosa significa politica riformista oggi:
attuazione e completamento di riforme strategiche relative a:
economia
riforma elettorale
giustizia.
In questo dibattito vorrei affrontare solo un aspetto del tema dell’economia e di un nuovo modello di sviluppo che inneschi un reale ciclo di crescita.
Sono d’accordo con Sansonetti : non può essere quella settentrionale la questione centrale di una nuova politica economica, perché il confronto è dell’intero Paese con le economie emergenti.
E non può solo una parte dell’Italia confrontarsi, tagliando fuori definitivamente l’altra parte. Mentre assistiamo ad una meridionalizzazione di tutto il Paese, la capacità produttiva, che è legata alla capacità di competere dell’intero sistema, non può affrontare solo il tema della riduzione del costo del lavoro (quanto dovremmo ridurlo per raggiungere il livello dei cinesi?)
Né si può spingere verso un’ulteriore precarizzazione dei lavoratori perché siamo già oltre il limite.
Oggi più che mai la crescita economica italiana ed europea passa attraverso l’innovazione.
E questo modello se si attuasse (e si deve attuare se vogliamo riavviare il circolo virtuoso della crescita) non creerebbe automaticamente più lavoro, ma sicuramente diverso lavoro.
Ma intanto cosa accade: la perdita di competitività ha ristretto i margini di una politica assistenzialista che aveva inventato il lavoro anche dove non serviva, aumentando enormemente il numero di disoccupati e di famiglie sotto la soglia di povertà.
In Calabria (dati Svimez), su circa 2 milioni di abitanti, ci sono solo 580 mila occupati, contro 75mila disoccupati e circa 700mila tra giovani sotto i 15 anni e anziani sopra i 65. E gli altri 650 mila in età di lavoro? Identificati come inattivi! Dunque meno del 50 / della popolazione calabrese in età di lavoro risulta occupata!
Sono proprio queste cifre drammatiche, quasi incredibili, che ci fanno dire con forza che una nuova, riformista politica di sviluppo non può non essere accompagnata da una nuova politica di welfare, partendo dal pilastro fondamentale del sistema che è: il Reddito Minimo Garantito inteso come diritto di cittadinanza.
Per affrontare il tema del RMG bisogna però partire dalla distinzione fondamentale del reddito dal lavoro: non più un lavoro assistenziale, clientelare, che sottomette il bisogno alla mafia o al sistema politico, ma un lavoro qualificato, altamente specializzato insieme al diritto ad un reddito universale di cittadinanza che, come recita la risoluzione del parlamento europeo del 20 ottobre 2010, operi come: “il diritto fondamentale della persona a disporre di risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana, nel contesto di un dispositivo globale e coerente di lotta contro l’esclusione sociale.”
In tutti i paesi europei , a partire dai 16 anni (dai 25 in Francia) si ha diritto a un RMG.
Il RMG è un sussidio riconosciuto a tutti come diritto soggettivo: ne possono beneficiare coloro che non hanno un lavoro o hanno un reddito basso.
Solo l’Italia e la Grecia non lo prevedono: dovremmo già riflettere su questo dato!
Per operare una separazione tra lavoro e reddito è però fondamentale non concepire il reddito come un salario.
Il salario è strettamente connesso allo svolgimento dei processi di produzione;
il RMG invece deve essere la risultante di una politica di redistribuzione della ricchezza sociale finalizzata a garantire il diritto alla esistenza dignitosa del cittadino.
Bisogni minimi e livelli essenziali di consumo dovrebbero essere garantiti da livelli minimi di reddito per tutti.
In questo modo il concetto di RMG rientra esclusivamente nell’alveo della distribuzione delle risorse: una volta dato il livello di ricchezza complessiva, il reddito determina la possibilità di consumo e se il diritto al consumo è universale anche il diritto al reddito deve essere universale e primario.
Non quindi il reddito come succedaneo o sostitutivo del lavoro, magari anche del lavoro che non c’è.
Il reddito a prescindere dal lavoro!
RMG non in chiave assistenzialistica ma secondo una concezione moderna europea.
Una società più giusta funziona anche meglio. Non è meno competitiva, ma più competitiva e più giustizia coincide con più libertà.
In questo modo l’istituto del RMG diventa addirittura una leva che induce verso una profonda e radicale riforma del mercato del lavoro.
La nuova offerta di lavoro dovrà essere o sarà necessariamente più professionalizzata, più competente, a fronte di una domanda che richiede maggiore produttività.
Quindi, meno precarietà e maggiore tutela di vecchi e nuovi diritti del lavoro.
Del resto in questo quadro va letto l’orientamento del Parlamento Europeo o l’esperienza degli altri Stati Europei che da tempo attuano il RMG, finanziato attraverso la finalizzazione di una quota del gettito fiscale nazionale.
Il parlamento Europeo fa leva sul reddito minimo come misura di potenziamento dei livelli di inclusione e coesione sociale e a questo fine riconosce, ancor più per le aree obiettivo 1, la possibilità di investire risorse europee.
La proposta è quindi rivolta innanzitutto allo Stato nazionale italiano.
In parlamento sono molteplici le proposte di legge presentate ma che non hanno avuto ancora approvazione.
Il RMG dovrebbe essere assunto non come uno strumento che si rende possibile dentro le compatibilità degli attuali bilanci dello Stato, ma al contrario, dovrebbe essere la ragione anche per una riforma del sistema fiscale, di quello previdenziale e di una più equa politica redistributiva.
Il RMG deve necessariamente essere uno strumento per re-distribuire reddito e ricchezza attraverso un fisco che aumenti la massa dei contribuenti contraendo l’evasione e colpendo i capitali speculativi, i movimenti di capitali all’estero, prevedendo anche l’introduzione di una tassa di scopo appositamente studiata.
Il finanziamento di tale strumento dovrebbe essere garantito da forme di compartecipazione e responsabilità da parte dello Stato nazionale e delle singole Regioni italiane.
Nel frattempo considerata l’eccezionalità e la gravità della condizione sociale calabrese, candidiamo la Calabria ad essere il territorio di sperimentazione di tale misura.
Dovrà essere il governo nazionale ed il parlamento ad approvare un’apposita legge speciale pro-Calabria per la sperimentazione del RMG sul nostro territorio.
La Regione dal canto suo potrebbe intanto approvare una propria legge per utilizzare, sotto forma di incentivi alla persona, una quota dei fondi europei disponibile in base al programma 2007/2013, anche alla luce della risoluzione europea del 20 ottobre 2010 .
Ciò consentirebbe di dimostrare al Governo la manifestazione, da parte della Regione, di una volontà concreta a sostegno dell’obiettivo.
Anzi, in attesa di una legge nazionale, se la Regione agisse tempestivamente, si potrebbe puntare sulla stipula di una intesa istituzionale tra Stato e Regione che sin da subito potrebbe destinare alla Calabria il cofinanziamento di risorse nazionali.
La proposta è quella di un assegno di reddito mensile destinato alla persona pari a circa 500 euro ( il parlamento europeo raccomanda il 60 del salario medio).
A tal fine sarebbe da istituire un fondo regionale, cofinanziato dallo Stato e dai Fondi europei, che se fosse di 450 milioni di euro all’anno sarebbe capace a dare risposta alla platea dei 75 mila disoccupati dichiarati.
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