tratto dal quotidiano “Libero”
PEPPE RINALDI
L’onorevole Luigi De Magistris è un uomo colto, legato alla tradizione latina di uomo nato nel ventre di Parthenope e cresciuto in quella Magna Graecia che tanta fama gli ha tributato. I brocardi di Cornelio Nepote, o di Seneca, oggi diventano la sua bandiera, proprio ora che dovrà presentarsi dinanzi ad un tribunale per essere giudicato per non aver fatto il proprio dovere di magistrato: «Non le stesse cose sono per tutti dignitose e vergognose» insegna il primo; «Vivis non ut loqueris» (vivi non come parli) rimbalza il secondo. Le avrà ripassate a lungo queste massime, ripensando a quel che dal profondo del suo partito, l’Italia dei Valori, cominciano a pensar di lui. Cioè, che dovrebbe mollare la carica di europarlamentare, dimettersi, o almeno sospendersi finché giudice non giudicherà, come amorevolmente notificava Marco Travaglio l’altro giorno sul suo giornale. O come, 24 ore prima, gli aveva molto più brutalmente chiesto il vice presidente dei deputati Idv, Borghesi. E’ il famoso “codice etico” inventato dagli italovaloristi di Di Pietro: poche tavole della legge, secche, chiare ed inappellabili. Fuori gli indagati dalla magistratura, figuriamoci i rinviati a giudizio: lascino cariche, prebende e poltrone. Nessuna eccezione è ammessa. E quando si dice nessuna eccezione pare che in questo si intenda “nessuna tranne De Magistris”. O il prossimo che incespicherà. Forse. Il responsabile per la giustizia e la sicurezza di Idv, cioè De Magistris, ha una piccola grana da risolvere: deve rispondere di omissione di atti d’ufficio per una lontana storia nata dall’esposto di un commerciante pugliese che aveva denunciato un paio di magistrati di Potenza. La competenza, per quei casi, è della procura di Catanzaro dove l’ex pm prestava servizio. E dove, prestandolo, chiese l’archiviazione per i suoi colleghi. Legittimamente. Ma un gip non era convinto che quella pratica dovesse essere chiusa nel cassetto e “ordinò” (qui, come giustamente dice lo stesso De Magistris, la materia è controversa in dottrina e giurisprudenza) di continuare a indagare. Cosa che il giustiziere di Catanzaro, che doveva invece scoperchiare la cupola del male impiantata in Calabria con propaggini in mezzo mondo (ricordate il massacro che fu fatto di Saladino, Pittelli, Enza Bruno Bossio, tutti usciti indenni con assoluzioni da Why Not, tranne la risibile condanna minima dell'ex leader della Compagnia delle Opere per concorso in abuso d'ufficio?) non fece. Beccandosi un’altra denuncia, stavolta a Salerno, procura competente sul capoluogo calabrese. La stessa che mentre procede in sua difesa da un lato, chiede di processarlo dall’altro, tanto per rendere più semplici le cose. Apriti cielo: i mal di pancia aumentano nella base dei più intransigenti, Borghesi titola sul suo blog “De Magistris come Dell’Utri” (correttamente fa lo stesso l’ex pm sul suo), lui inizia a difendersi, Sonia Alfano è pronta al martirio pur di impedirne la lapidazione, Travaglio venerdì sul Fatto gli riserva l’onore delle armi prima di fucilarlo, lo stesso Di Pietro si dice «Con Luigi, senza se e senza ma». Finché non arriva la memoria difensiva di ieri: “Perché non mi dimetto” ha scritto sul Fatto. Perché non si dimette, dunque, De Magistris? «Ho denunciato il marciume nella magistratura, la collusione con i poteri forti, le zone grigie, le corruzioni: per questo me la fanno pagare e chissà cosa ancora mi aspetta per aver fatto il mio dovere». Viene in mente un certo Silvio Berlusconi. Ma sarà un caso.
E non si dimette perché -qui tornano in ballo i “suoi” antenati latini- non tutti i comportamenti sono turpi allo stesso modo: cioè, par di capire, c’è reato e reato, c’è la pagliuzza e la trave, c’è modo e modo. De Magistris, insomma, di colpo si umanizza. Quel che non valeva per tutti gli altri, vale per lui. Succede.
L’apoteosi però è dell’11 novembre scorso, passata inosservata. Scrive l’ex pm sul blog: «Chi da sempre agisce pensando alla realizzazione della giustizia e lo fa con l’amore nel cuore non ha nulla da temere. Anche noi saremo duri, ma nello stesso tempo giusti, senza perdere la tenerezza. Alla fine, dietro l’angolo, vedo la luce e anche la liberazione da un sistema che opprime le coscienze e distrugge le persone libere e pulite».
Stavolta, però, è stato bruciato sul tempo: il copyright sul “Partito dell’amore” l’ha già registrato qualcun altro. Pare faccia ancora il presidente del consiglio.
Alla presentazione del libro “L’inganno. Antimafia, Usi e soprusi dei professionisti del bene” di Alessandro Barbano
A Napoli nell’atmosfera del Teatro San Carlo, Alessandro Barbano parla del suo