NAPOLI- Chi avrebbe mai detto che la pena per una diffamazione fosse direttamente proporzionale al grado di istruzione e di evoluzione intellettuale? Da oggi è così almeno stando a quanto richiesto da un pm ed immancabilmente accolto da un gip. E’ successo al tribunale di Napoli nei giorni scorsi dove, dinanzi ad una querela presentata da un esponente di un’associazione onlus contro un altro membro del sodalizio, gli organi giudiziari hanno sentenziato in modo -per così dire- originale: hanno cioè stabilito che trattandosi di persone “intellettualmente evolute” (sic) le presunte offese contenute in circa 40 e-mail diffuse ad altrettanti soci della onlus da parte del querelato, non integravano alcuna fattispecie di reato. Tutt’al più semplici iperboli. La storia l’ha tirata fuori il Corriere del Mezzogiorno nell’edizione di domenica.
Questi i fatti. Tale R.I., napoletano, contestava l’abbandono dell’associazione da parte di C.A. uno dei dirigenti della stessa, accompagnando il proprio disappunto per la scelta del dirigente con frasi del genere “insanità mentale” e “aiuto e compassione”. Non solo, all’accusa di non essere tanto stabile mentalmente tanto da esser pure meritevole degli altrui sentimenti caritatevoli, il presunto diffamatore aggiungeva anche un bel “furto di idee”: in pratica il destinatario delle impugnate contumelie elettroniche avrebbe sommato alle sue deficienze psico-esistenziali anche l’indebita appropriazione della progettualità di altri. E, tanto per non tener nascosto tutto ciò, ne ha pure informato almeno 40 persone. Per il gip della procura napoletana, Vincenzo Alabiso, invece è questione culturale, non nel senso dell’approccio ermeneutico-interpretativo da utilizzare nell’applicazione della norma che regola il caso, bensì nel senso del grado di evoluzione dei soggetti da cui quelle affermazioni promanano ed a cui approdano. E così il 2 febbraio Alabiso accoglie la richiesta di archiviazione formulata dal pm affidatario del caso motivandolo in senso para-darwinista. “Trattasi nella specie -scrive Alabiso- di forzature espressive che, in una comunità intellettualmente evoluta come quella degli iscritti all’associazione, sono prive di valenza diffamatoria, dal momento che i destinatari potevano comprendere senza difficoltà il carattere iperbolico delle espressioni, qualificando perlopiù i limiti espressivi della fonte piuttosto che la personalità del querelante”.
Sul richiamato “furto di idee” poi lo stesso gip aggiunge: “Ci sono modi di esprimersi che rientrano nel diritto di critica, costituzionalmente garantito, e non comportano offesa alla reputazione. Una persona di buon livello culturale è perfettamente in grado di distinguerli e di cogliere il senso figurato di una frase”.
Bisogna pure capirli i magistrati, col carico di lavoro che hanno: dinanzi all’ennesimo, seppur insolito, procedimento per diffamazione potrebbero aver scelto le vie brevi per dedicarsi ad altro. Alabiso infatti è lo stesso gip, peraltro con fama di scarso “archiviatore”, che si occupa del processo cosiddetto Calciopoli e di quello per gli scontri di Pianura sulla discarica. In ogni caso appare “atipica” la motivazione addotta nell’archiviazione. Sarà stato il bicentenario della nascita di Charles Darwin, teorico dell’evoluzionismo, a condizionarne la decisione; sarà stato un innato senso delle ragioni del censo intellettuale: sta di fatto che se dico e scrivo “insano di mente” di un avvocato o di un docente universitario ho qualche possibilità di cavarmela. Ma se lo dico e scrivo di un contadino, un operaio o di un artigiano poco scolarizzati ma perfettamente normali?
Peppe Rinaldi- Libero