(di Antonio Gurrado dal quotidiano “Il Foglio”)
Saviano non lo sa, ma la sua lista di cose per le quali valga la pena di vivere, infilata alla fine dell’introduzione al volume che raccoglie i monologhi di “Vieni via con me”, è il termometro esattissimo del mutamento genetico occorso alla sinistra italiana negli ultimi vent’anni. Saviano non lo sa perché nell’introduzione sbaglia clamorosamente la paternità culturale di questa lista, rifacendosi alla scena di “Manhattan” in cui Woody Allen, col registratore sul divano, elenca le ragioni “why life is worth living”: il secondo movimento della Sinfonia Jupiter, i film svedesi, Cézanne… Saviano si crede Woody Allen e allora mischia Maradona con Bob Marley, una mail di suo fratello con Billy Evans, la mozzarella di bufala con l’epigrafe funebre di Raffaello Sanzio. Al nono posto spicca “fare l’amore” che, per quanto sia un bisogno naturale, scivola ben quattro posizioni dietro la lettura dell’Iliade. La stessa formulazione “fare l’amore” denuncia come Saviano abbia scansato accuratamente ogni equivoco con la lista di riferimento della sinistra italiana di vent’anni fa, il “Giudizio universale” sull’ultima pagina di Cuore, “la più grande hit parade della storia” in cui Michele Serra chiedeva ai lettori di votare per le cinque cose per cui valesse la pena di vivere. Carta canta: ho controllato la classifica del numero 23 del 1991 (8 luglio) ed è emersa l’incompatibilità profonda fra le priorità dei coriacei lettori di allora e quelle degli odierni savianisti sdilinquiti. Lo fa notare involontariamente lo stesso estensore del Giudizio, insistendo sulla “natura riccamente ambigua (etica ma godereccia, estetica ma crapulona) dell’universo cuorista, sensibile alle buone cause come al bagordo, fedele ad alcuni principi quanto permeabile al meglio (a volte anche al peggio) di questo porco mondo”. Sono andato a controllare la posizione di “fare l’amore” e altro che nono: l’ho trovato miseramente 159°, a pari merito con “Francesco De Gregori” e subito dietro “Vedere la figlia di Bossi che sposa un senegalese”. (L’Iliade non figura nelle prime 230 posizioni; tutt’al più ci sono “i libri”, ma al 57° posto, subito davanti a “leggere al cesso”). Si potrebbe obiettare che nella top ten stampata a caratteri grassetti il primo posto risultasse insindacabilmente dell’“amore” mentre “il sesso” fosse solo terzo e “la figa”, scritta con la g nonostante le indicazioni contrarie di Nanni Moretti in “Ecce bombo”, quarta. Se però sommiamo ai voti ricevuti dall’apparato riproduttivo femminile quelli conseguiti da “scopare” (18°), “toccare le tette” (20°), “leccarla” (24°) e da un’altra ventina di variazioni che non sto a citare, scopriamo che la priorità del popolo di sinistra era ben più ruspante, comprensibile e condivisibile del “tuffarsi ma nel profondo, dove il mare è mare” privilegiato da Saviano. Viene da commuoversi leggendo i motivi che spingevano i lettori di Cuore a tirare avanti, così basici, così immediati, così privi di ogni rispetto per il non-si-fa e il non-si-dice: erano infatti i tempi in cui – spiega ancora l’anonimo estensore della rubrica – la sinistra privilegiava “la libertà d’espressione, l’allegria e l’incazzatura, tutti i radicalismi politici ed esistenziali”. Ora invece, non appena è trapelata su Internet la molle introduzione di Saviano, è scattata la corsa dei benpensanti a intenerirsi per il suo romanticismo, ad aderire indignati al suo anelito a una vita normale, l’invidia di mille signorine istruite per quel “portare la persona che più ami sulla tomba di Raffaello Sanzio e leggerne l’iscrizione latina che molti ignorano”. A scorrere la lista di Saviano viene istintivo pensare che certamente valeva di più la pena di vivere vent’anni fa.
di Antonio Gurrado