(Di Peppe Rinaldi)
E con questo sono due. Due appelli affinché sulla riforma della giustizia, e sul più generale tema dei rapporti tra politica e magistratura, la sinistra non si tiri indietro: ma colga l’occasione per tentare di mettere ordine, assumendo parte attiva e responsabile, nel caos creatosi nel Paese da circa vent’anni a questa parte. Primi firmatari, ancora una volta, Massimo Micucci (nella foto a sinistra) Piero Sansonetti, Fabrizio Rondolino, Enza Bruno Bossio (nella foto a destra) e Claudio Velardi: gli stessi di circa un paio di mesi fa che, attraverso il portale “thefrontpage.it”, implorarono i “compagni” di sottrarsi al gioco da tricoteuses cui drammaticamente si erano dedicati smarrendo le ragioni della libertà e delle garanzie inscritte (un tempo) nel dna della sinistra italiana. Troppo travaglismo, troppo dipietrismo, troppa Anm e troppa Repubblica hanno ridotto l’area del centrosinistra ad un’associazione di uomini e donne armati di manette e forca, perdendo così le coordinate di base della convivenza civile, consegnando la bandiera della libertà della persona nello Stato e dallo Stato proprio allo schieramento che, a parole, dicono di voler combattere. Ruoli ribaltati, insomma: tintinnar di manette e stivaloni neri a sinistra, ansia di libertà e rispetto delle prerogative della persona umana a destra.
Uno strano mondo quello della politica italiana. Sembra ora che qualcosa nel fronte della sinistra italiana inizi a muoversi, seppur i primi segnali giunti in queste ore non lasciano presagire nulla di buono. La riforma non era stata neppure illustrata e già le armate erano schierate su più fronti: una volta annunciata e dettagliata è stato peggio. Si vedrà. Intanto, fortuna che qualcuno, da sinistra, usa ancora il cervello.
L’incipit del primo appello era “Cari compagni, per il nostro bene, fermatevi”. Quello di oggi è “Compagni, sulla giustizia non tiratevi indietro”. Un lungo appello, argomentato, serio, scritto senza bava alla bocca, senza schiumar rabbia e voglia di carcere: ma con la precisa intenzione di evitare che «l’Italia diventi il paese meno garantista dell’Occidente». Forse è già diventata così, ma non tutto sembra perduto perché se persone come Enza Bruno Bossio, dirigente nazionale del Pd (finita nelle grinfie di De Magistris ai tempi di Why Not e poi regolarmente assolta da ogni accusa), Micucci, Velardi e Rondolino nuotano controcorrente circondati dal mare magnum giustizialista secondo cui l’individuo perde dignità (e diritti politici e civili) prima ancora che un’indagine (e che indagine!) sia completa, significa che una speranza c’è. Nell’interesse di ognuno, le categorie ora contano poco.
Prima di diventare Papa, il cardinale Joseph Ratzinger l’aveva scritto nel libro “Senza radici”: «Il mondo sarà salvato dalle minoranze creative» disse il più grande intellettuale vivente. Al di là di come la si pensi, l’assunto ratzingeriano -si parva licet-può valere anche in questo caso: non c’è da salvare il mondo nel caso in questione, c’è da salvare però il concetto di libertà. E se non lo fa (anche) la sinistra italiana, chi altri potrebbe? «Le preoccupazioni che vi abbiamo illustrato -scrivono i primi firmatari- nell’appello garantista si sono purtroppo drammaticamente confermate. Siamo in presenza di una ulteriore degenerazione del quadro politico, in chiave illiberale, conservatrice, giustizialista e mediatica: perciò se si discuterà davvero di giustizia, non tiratevi indietro».
Si può dar loro torto? Non l’ha scritto o detto Giuliano Ferrara (che di certo condividerà la posizione), né quegli “asserviti al padrone” di Belpietro o Feltri e neppure sparuti e meno famosi giornalisti italiani: lo scrivono, convinti, uomini e donne di sinistra, quella che da sempre ha indicato nel potere giudiziario uno dei fattori decisivi dove si giocano le garanzie di un Paese libero e autenticamente democratico.
Peppe Rinaldi