Gianni Pardo dal sito “Il Legno storto”
C’è un fenomeno preoccupante, in Italia e altrove: lo spostamento della giurisprudenza dalla legge alla giustizia. Quando il giudice applica la legge, si limita al suo dettato, chiaro e preciso. Ad esempio, sapendo che chi sottrae la cosa mobile al legittimo proprietario è colpevole di furto, condanna il ladro. Quando invece persegue la giustizia, non guarda a ciò che la legge precisamente comanda ma al suo scopo finale: e dà luogo a decisioni molto opinabili. Un esempio chiarirà meglio il concetto. La legge reprime il furto per evitare che un cittadino innocente sia ingiustamente danneggiato. Ma chi ragiona in termini di giustizia obietta: se puniamo qualcuno per avere inflitto un danno di pochi euro, possiamo lasciare impunito chi infligge un danno molto maggiore, per esempio gli fa perdere la vita? Se le sigarette provocano il cancro al polmone, e un fumatore si ammala di cancro, è giusto che la società produttrice di quel veleno non sia chiamata a pagare per questo? La risposta si è avuta negli Stati Uniti: le società produttrici sono state condannate a pagare grandissimi risarcimenti.E infatti oggi tutti i pacchetti di sigarette ammoniscono sui danni del fumo: come se prima non si conoscessero o come se ciò frenasse i fumatori. Il magistrato che persegue la giustizia non si accorge delle molte obiezioni che si possono sollevare contro questa tendenza. Chi mi ruba le sigarette approfitta della mia disattenzione e fa qualcosa contro la mia volontà. Se invece vado a comprare un pacchetto di sigarette sono io che prendo l’iniziativa di spendere quei soldi e di correre quei rischi. Insomma, dovrebbero essere affari miei e responsabilità mia. La condanna della società produttrice è un segno che la giustizia ha spostato il suo baricentro. Mentre prima ci si aspettava che ognuno badasse a se stesso, e al massimo che lo Stato lo difendesse quando non poteva, ora ci si aspetta che il singolo si permetta di essere sbadato e spensierato come un bambino e che qualcun altro si occupi della sua sicurezza.
All’occasione pagando per le conseguenze negative. Un risultato divertente è che mentre prima i medicinali promettevano di guarire tutti i mali (e per questo il foglietto illustrativo era detto “bugiardino”) ora tutti i mali li minacciano. Uno è quasi tentato di tenersi la malattia, pur di non correre quei mille rischi. Se compriamo un prodotto confezionato dentro un sacchetto, siamo avvertiti di non lasciare la plastica in giro: giocandoci, i bambini potrebbero soffocarsi. Addirittura – secondo quanto abbiamo visto in tanti film – il paziente dimesso dall’ospedale viene condotto all’uscita su una sedia a rotelle: se dalla sua stanza a lì, Dio non voglia, dovesse cadere, l’ospedale potrebbe essere chiamato a risponderne. Come diceva uno psichiatra statunitense, “oggi se ti vendono un martello ti avvertono che non è consigliabile usarlo per dare colpi in testa al prossimo”. In Italia l’antesignana di questa tendenza alla giustizia è la Corte Costituzionale. Dal momento che si trova a maneggiare un testo che non prevede fattispecie chiare e specifiche, in nome dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge può arrivare alle decisioni più discutibili. E di fatto in qualche caso ci è arrivata. Purtroppo, la giustizia – come l’uguaglianza, come tante altre belle cose – è opinabile. La tendenza crea per giunta un fenomeno di feedback, cioè di retroazione. I giudici perseguono la giustizia e dunque chiunque si senta vittima di un’ingiustizia reputa facilmente che “la legge gli darà ragione”. E dal momento che a volte non la legge ma una sua particolare interpretazione gli dà ragione, il fenomeno si accentua sempre più. Un esempio recentissimo è quello della giornalista Tiziana Ferrario che, dopo essere stata in video per ventotto anni (presumiamo che ne avesse più di venti, all’inizio), essendo stata spostata ad altre funzioni, è ricorsa al giudice ed ha ottenuto “giustizia”. Cioè oggi un direttore di un telegiornale non è nemmeno libero, dopo ventotto anni, di cambiare una faccia sul teleschermo. Magari per far posto a giornaliste più giovani e, chissà, più capaci. Nella mentalità attuale, la “giustizia deve trionfare”. Il risultato è che nessuno è più al riparo dall’invadenza di una giurisprudenza civile, penale e amministrativa che, cercando la giustizia, realizza l’arbitrio e l’incertezza. Diventa un problema perfino bocciare un somaro alle scuole secondarie. Ma denunciare le tendenze sbagliate del proprio tempo, quando sono così corali, è inutile. Tutti reputano che qualunque aspetto della vita ha rilevanza giuridica e il magistrato per conseguenza ha tendenza a sentirsi onnipotente.