di Andrea Di Consoli da “Il Riformista”
“L’inchiesta” di Luigi De Magistris. Quattro anni, trenta indagati, trenta archiviati. La “cupola” non è mai esistita, in compenso la Basilicata ha perso un magistrato (Felicia Genovese) che aveva sconfitto i clan e un manager (Michele Cannizzaro) che aveva risanato l’ospedale di Potenza.
Leggere attentamente l’ordinanza di archiviazione dell’indagine “Toghe lucane” condotta nel 2007 dall’allora pubblico ministero Luigi De Magistris presso la Procura di Catanzaro, significa ripercorrere uno dei cortocircuiti mediatico-giudiziari più drammatici degli ultimi anni. Come si sa, “Toghe lucane” partiva dall’assunto che in Basilicata ci fosse un “comitato di affari”, e che questo comitato fosse composto da politici, magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine. In totale, gli indagati erano trenta e, come le cronache hanno ampiamente raccontato (tutti i giornali ne hanno dato notizia tranne Il fatto quotidiano, e ci piacerebbe sapere perché), tutti e tutti e trenta sono stati archiviati dalla stessa Procura di Catanzaro. Nell’ordinanza di archiviazione il Gip Maria Rosaria di Girolamo scrive: «Si ritiene che gli elementi fin qui esposti non consentano di sostenere adeguatamente, nei confronti di tutti gli indagati, una fattispecie associativa quale ipotizzata, essendo del tutto carente la prova in ordine all’esistenza di un sodalizio». Da provare vergogna, francamente. “Toghe lucane” metteva in un unico calderone tutta una serie di indizi, notizie, voci e intercettazioni, dando l’impressione che in Basilicata ci fosse una sorta di “cupola” dedita agli affari e allo sperpero del danaro pubblico (alcuni giornalisti diedero vita a una vera e propria gogna mediatica, come molti lettori ancora ricorderanno). Dare conto di tutti i filoni dell’indagine non è possibile in poche righe; tenteremo però di raccontare – ordinanza alla mano – alcuni momenti salienti di questo clamoroso flop giudiziario. Il più grave, a nostro avviso, è quello a danno della Pm Felicia Genovese e di suo marito Michele Cannizzaro, che viene nominato direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza il 31 luglio del 2007 (il presidente della giunta regionale era l’attuale senatore del Pd Filippo Bubbico, mentre assessore alla Sanità era l’attuale presidente Pd Vito De Filippo. Entrambi, va sottolineato, sono stati archiviati in “Toghe lucane”). Bene, facciamo un passo indietro. In data 15 ottobre del 2001 il dottor Giuseppe Panio, all’epoca direttore dell’Asl di Venosa, denuncia la giunta regionale per averlo sollevato dall’incarico (dalla stessa giunta precedentemente conferito) in seguito alla sua decisione di licenziare un medico che si era fatto operare in un’altra struttura sanitaria rispetto a quella di appartenenza. Per la giunta tale decisione è inaccettabile, perché limitative delle libertà individuali, e quindi scatta il sollevamento dall’incarico. Il dottor Panio non ci sta e denuncia la giunta. Il 29 giugno del 2004 il Pm Felicia Genovese, titolare del procedimento, decide di archiviare la denuncia. Il 22 luglio del 2004 il dottor Michele Cannizzaro partecipa al bando a direttore sanitario dell’ospedale San Carlo di Potenza, e il 31 luglio viene nominato. Il sospetto di De Magistris è che la Genovese abbia archiviato la denuncia di Panio per favorire la nomina del marito (facendo un favore alla giunta regionale). Peccato che l’archiviazione della Genovese avvenga il 29 giugno del 2004, e che la domanda a direttore venga presentata da Cannizzaro il 22 luglio dello stesso anno. Di che stiamo parlando? Facciamo adesso un passo in avanti di due anni. Nel luglio del 2006 Marco Travaglio pubblica su Micromega un articolo intitolato “Amaro lucano” e parla della corruzione in Basilicata, citando il caso di Cannizzaro e della moglie. L’embrione di “Toghe lucane” è lì. Il 26 febbraio del 2007 Carlo Vulpio inizia a scrivere una serie di articoli sul Corriere della sera e si spinge oltre: mette insieme il caso Claps e il caso dei fidanzatini di Policoro e li ricollega a “Toghe lucane”. Lo stesso 26 febbraio, nella trasmissione Chi l’ha visto? di Rai3, viene portato davanti agli schermi l’ex pentito Gennaro Cappiello, che era stato considerato inattendibile dalla magistratura e di conseguenza denunciato, e gli si permette di rifare vecchie accuse a Cannizzaro (vecchie di almeno sette anni) in merito alla sua presunta partecipazione nell’eliminazione del corpo di Elisa Claps (si parla di acido e di cementificazione). Vulpio e la Sciarelli vengono querelati da Cannizzaro e dalla Genovese, ma il battage mediatico è violento e inarrestabile, e nessuno sa la sente di intervenire. Senza che nessuno si degni di ascoltare i due malcapitati, Cannizzaro, il 14 maggio del 2007, si dimette dalla direzione del San Carlo. Facciamo adesso una pausa, e torniamo a leggere tra le pieghe dell’ordinanza di archiviazione, che ci aiuta a capire che cosa è accaduto tra Potenza e Catanzaro in quel cruciale 2007 (diciamola tutta: all’interno della Procura di Potenza si era creata una spaccatura intorno alle modalità di conduzione delle indagini: da una parte c’erano il procuratore Tufano, Genovese e Bonomi, e dall’altra c’erano Woodcock, Montemurro e Iannuzzi). Ecco cosa scrive la di Girolamo: «In particolare, una delle questioni che era stata occasione di frizione tra il dr. Tufano ed il dr. Montemurro era quella riguardante l’asserita tardiva iscrizione nel registro degli indagati di Cappiello Gennaro, collaboratore di giustizia che aveva mosso delle accuse nei confronti della dr. Genovese e del dr. Cannizzaro. Tale ultima circostanza aveva costituito oggetto di critiche da parte del dr. Tufano in occasione delle riunioni del Consiglio Giudiziario, nonché in occasione del parere sulla progressione di carriera del dr. Montemurro, ed a causa della stessa era stato avviato nei confronti del dott. Montemurro un procedimento disciplinare». La colpa di Tufano? Aver ipotizzato – non siamo noi a dirlo, ma l’ex Gip di Potenza Pavese – una «evidente critica (di Tufano, ndr) al dott. Montemurro e di presa di posizione a favore della dr.ssa Genovese e del coniuge Cannizzaro, facendo intuire che egli ipotizzava una sorta di accanimento a carico degli stessi». La vicenda Cannizzaro-Genovese è però solo un capitolo di “Toghe lucane”, e altri bisognerebbe raccontarne. Ma tanto basti per adesso. Com’è andata a finire? Che Cannizzaro si dimise (per la gogna mediatica) dalla direzione del San Carlo, e Felicia Genovese fu trasferita in via cautelare dal Csm – su richiesta dell’allora ministro della giustizia Clemente Mastella – presso il Tribunale di Roma, dove tutt’ora è in servizio. Pochi però sanno che la Genovese è il magistrato che ha sconfitto, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, i clan malavitosi lucani, e che più volte si è tentato di farla saltare per aria con il tritolo, e che Cannizzaro era riuscito a risanare e a rilanciare l’ospedale che navigava in brutte acque. Oltre, perciò, alle spese inutili della clamorosa e interamente archiviata inchiesta di De Magistris, siamo sicuri che la Basilicata abbia perso due esponenti di un losco “comitato d’affari”? A perderci non è forse stata la Basilicata? E quando terminerà il “no comment” di De Magistris? E chi e come risarcirà il danno morale e materiale subito dalla Genovese e da Cannizzaro?