IL MAGISTRATO DE MAGISTRIS SPIEGATO DAL CSM

di Peppe Rinaldi da “www.processomediatico.it”
Chi crede che quanto esce dalla bocca di un magistrato sia un pezzo di verità rivelata, chi non ha la necessità di attendere che tra due parti, l’accusa e la difesa, emerga una terza posizione e si accontenta dell’incipit dell’indagine operata da un pubblico ministero qualsiasi, per chi il«sospetto è l’anticamera della verità» non avrà difficoltà a credere a quanto si accinge a leggere.

E’ materia sensibile per gli adoratori dei Santoro e dei Travaglio d’Italia, annidati ovunque in quello stesso Paese che mantengono bloccato da circa vent’anni: l’ha scritto il Consiglio superiore della magistratura, il vertice del vertice delle toghe italiane. Non ci sarà difficoltà, dunque, a valutare come credibile una decisione dell’organo di autogoverno dei “giudici”, nemmeno se al centro c’è uno di loro, quantomeno un loro beniamino. Il riferimento è al dottor Luigi De Magistris (con la “D” in maiuscolo possibilmente), un tempo sostituto procuratore a Catanzaro, da qualche anno parlamentare europeo, oggi addirittura aspirante sindaco di Napoli.

Da qualche giorno, complice il tradizionale naufragio di una delle indagini che tanta fortuna elettorale gli tributarono (Toghe Lucane), si legge spesso di lui: anche dove meno te lo aspetti. E tutti ricostruiscono la serie degli insuccessi professionali, sovente con numerose imprecisioni, del giustiziere napoletano, molti si allineano o vengono allo scoperto nel denunciarne carenze, omissioni. Ma si tratta della rilettura di quanto scritto da altri, una legittima riproposizione di ciò che in pochi dicono e scrivono da tempo.

Le carte -così si dice – non le va però a leggere quasi più nessuno. E allora sarebbe interessante scavare in ciò che, dell’operato del dottor De Magistris, hanno valutato «i giudici che giudicano i giudici»: il Csm, appunto. Se l’ha detto, e scritto, quella stessa entità che «guai a toccarla» significa che del vero ci sarà. O anche stavolta non vale? Certo, ancora oggi, in rete e sulla stampa, trovi chi si ostina a dire che «se non gli avessero strappato le indagini di mano», che «i poteri forti ed occulti arrivano ovunque» e via delirando.

Esilarante la difesa di pochi giorni fa messa in cantiere dall’house organ dell’Accusa, quel “Fatto quotidiano” che, facendosi serioso, scrive: «Franano le indagini di De Magistris? Si, ma stiamo ai fatti», che più o meno significa che, in fondo in fondo, nonostante i flop a ripetizione, il dottor De Magistris aveva visto giusto. Qui siamo nella patologia da codice penale, nel grigiore di un cattivo umore quasi esistenziale, nel vortice del panico da assenza di manette: c’è da capirli gli amici e i colleghi del Fatto. Cose che capitano.

Vediamola questa sentenza del 19 febbraio di tre anni fa. Il dottor De Magistris, già noto a tutti perché «non lo facevano lavorare», finisce davanti alla corte dei Marescialli con 11 capi di imputazione, più altri “sottocapi” in varie articolazioni. Basterebbero già questi ai professionisti dell’Accusa, per molto meno hanno sparato a palle incatenate e senza sosta contro chiunque (?) fosse stato sfiorato da un semplice sospetto. E ora che dei giudici che giudicano i giudici hanno giudicato un ex giudice, avranno fatto lo stesso? Non si direbbe, c’è sempre qualcosa di «occulto, perverso e cospiratorio». In genere un massone, coperto o scoperto che sia.

Il dottor De Magistris, dicevamo, aveva combinato guai grossi: undici accuse dinanzi al Csm, per sei delle quali è stato riconosciuto colpevole e assolto per altre cinque.

Il refrain è ossessivo, lo si legge in tutti le incolpazioni ascrittegli. Prendiamone un paio a caso, i primi due: capo A)«per aver gravemente mancato ai propri doveri di correttezza e rispetto delle norme anche regolamentari disciplinanti il servizio giudiziario adottate dagli organi competenti» (aveva trasmesso atti alla procura di Salerno nonostante non lo potesse più fare perché era stato già “revocato”);
capo B): ecco, qui va fatta una considerazione preliminare, nel senso che il dottor De Magistris ha anticipato di alcuni anni il timbro ambrosiano, richiamando in atti giudiziari fatti della vita privata, sentimentale e sessuale, di un paio di suoi colleghi, che non avevano alcuna rilevanza penale. Tra l’altro neppure veritieri. Insomma, un persecutore del Bunga Bunga ante litteram. Cioè?

Il dottor De Magistris – si legge nell’imputazione – è stato riconosciuto colpevole «per avere, con grave e inescusabile negligenza, emesso, nell’ambito del procedimento n.375/0321-n.444/05-21, denominato “Toghe Lucane” un decreto di perquisizione locale nei confronti del dr. Vincenzo Tufano, procuratore generale di Potenza, ed altri, connotato da gravi anomalie, quali l’evidente non pertinenza della motivazione (attestata altresì dal successivo annullamento del Tribunale del riesame) nella parte in cui richiamava procedimenti penali sforniti di qualsivoglia attinenza ai reati ipotizzati, con conseguente illegittima diffusione dei relativi atti di indagine, e violazione del diritto alla riservatezza delle persone impropriamente nominate, tra le quali due magistrati del Tribunale di Potenza, che si ipotizzava avessero una relazione extraconiugale, fatto, pur se eventualmente fondato, del tutto indifferente sia ai fini indiziari, sia ai fini della motivazione dell’atto».

Inutile trascrivere il resto delle nove incolpazioni, si rischia la monotonia (De Magistris, è giusto dirlo, è stato invece assolto dal Csm in relazione ai suoi rapporti spericolati con la stampa): basti osservare che è tutto un «aver gravemente mancato ai propri doveri di correttezza e rispetto delle norme…aver arrecato un ingiusto danno…violazione da ritenersi grave per il clamore che avrebbe suscitato…inescusabile negligenza…aveva posto in essere più comportamenti gravemente scorretti generando sospetti non suffragati da elementi probanti con conseguente oggettivo discredito altrui» e così via.

Se perfino uno come Giuliano Ferrara, che bollò le indagini del dottor De Magistris sin dall’inizio come «scemenze» ha deciso di occuparsi di lui, una ragione ci sarà. E non è certo per la cifra del politico De Magistris, non tanto dissimile da quella del magistrato De Magistris.

A leggere la sentenza della Disciplinare contro il cocco dei manettari (copyright Gianluigi Nuzzi) vengono in mente due cose: un plotone di esecuzione che alla fine decide, dinanzi a tali gravi condotte di un magistrato, una censura e un semplice trasferimento di sede e funzioni (chi si sarebbe sentito sereno a farsi giudicare da De Magistris una volta entrato nella sua funzione di giudice al tribunale di Napoli dov’era stato trasferito?); l’urgenza di fare in fretta la riforma della giustizia. Partendo magari proprio dal Csm.

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