Bruno Bossio: DE MAGISTRIS HA DEVASTATO L’ECONOMIA CALABRESE

autore: Simona Bonfante

http://www.processomediatico.it/
Parla Enza Bruno Bossio, una delle vittime ‘eccellenti’ di Why Not, l’inchiesta flop di Luigi De Magistris.

“Apprendo di essere indagata nel momento stesso in cui ricevo il primo decreto di perquisizione. Sono i primi di settembre 2006. Ero rientrata dalle vacanze la sera prima. Alle 7 del mattino suonano alla porta, sono i carabinieri che mi informano di dover procedere ad una perquisizione in quanto indagata per…”Ah boh! È questo il bello. Nel decreto di perquisizione si fa riferimento a – cito testualmente – “un sodalizio criminale con distribuzione di ruoli tra imprenditori, professionisti e pubblici amministratori finalizzato (…) a percepire, in modo illecito, finanziamenti pubblici (nazionali, regionali e dell’unione europea) per importi ammontanti a diversi milioni di euro.”

Ecco, appunto, indagata per?

Milioni di euro di cui evidentemente il Pm aveva già intercettato le tracce…
Macché. Quei milioni esistevano solo nella testa di De Magistris, il quale, come racconterà lui stesso nel suo libro, Assalto al Pm. Storia di un cattivo magistrato (Chiare lettere, maggio 2010, prefazione di Marco Travaglio, ndr) si era sostanzialmente affezionato alla tesi ispirata, pensi un po’, ad un articolo scritto sei mesi prima, a dicembre 2005, da Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera. Articolo nel quale sosteneva la fantasiosa teoria (attribuendomi poteri che purtroppo non ho mai avuto) secondo la quale, dietro la sfiducia al sindaco di Cosenza, ci fossi io, per vendicarmi della vicenda privata (Adamo, già segretario regionale dei Ds, era all’epoca vice-presidente della Giunta regionale, oltre che assessore al Bilancio e ai fondi comunitari, e Catizone, sindaco di Cosenza, hanno una relazione che, divenuta di dominio pubblico, innescherà un aspro scontro politico a livello non solo locale, ndr). Una specie di arpia – così più o meno mi descriveva Stella. Un’arpia imprenditrice – mi definisce proprio così, Stella, forse mal informato rispetto al fatto che io non avessi mai fatto l’imprenditrice ma solo e sempre la manager. In quell’articolo Stella sosteneva che sarei stata io ad aver fatto detonare il caso politico per continuare ad avvantaggiarmi dei favori che mio marito, con il proprio ruolo istituzionale in Regione, avrebbe potuto garantirmi.
Ebbene, dopo quelle insinuazioni di Stella, Nicola Adamo decide di auto-denunciarsi – ovvero di presentare un esposto alla Procura in cui chiede di essere sottoposto ad indagini per verificare se, e in che modo, avesse mai abusato della propria posizione o compiuto reati per avvantaggiare la moglie “imprenditrice”. Un atto di grande valore politico, un grave errore, tuttavia, per le conseguenze giudiziarie che inconsapevolmente ha finito con il determinare.

Ebbene?
Ebbene, il Procuratore capo affida le indagini sull’auto-denuncia di Adamo al Pm De Magistris, al quale aveva già sottratto l’inchiesta Poseidone con la quale il Pm mirava ad indagare nell’ambito politico del centro-destra. Con la denuncia del Vicepresidente della Regione Calabria in mano, De Magistris coglie la palla al balzo: tornare all’obiettivo della sua precedente inchiesta, ovvero attaccare la classe politica calabrese, partendo però stavolta dal centro-sinistra, ovvero da Nicola Adamo.

Insomma, è suo marito, in sostanza che la mette nei guai.
Certo, col senno di poi, quell’importante gesto politico di Nicola Adamo si rivela un errore clamoroso dal punto di vista giudiziario. Ma d’altra parte, una persona normale, che non hai mai avuto motivo di temere la giustizia, non può certo immaginare che rivolgersi ad un magistrato per chiedergli di certificare la propria correttezza ed onestà, possa alla fine significare finire travolto in un tourbillon mediatico-giudiziario, tanto fantasioso quanto devastante.

Torniamo a lei. Nell’ordinanza di sequestro che la informa anche della sua iscrizione nel registro degli indagati, De Magistris fa riferimento ad una pluralità di aziende nelle quali, a vario titolo, lei aveva coperto incarichi manageriali: Intersiel, Telcal, CM Sistemi, Clic…una pluralità di aziende alcune delle quali beneficiarie di finanziamenti pubblici.
Certo, però il Pm avrebbe potuto facilmente verificare come durante il periodo in cui mio marito ricopriva incarichi di governo regionale, la sottoscritta non avesse fatto incassare un euro di soldi pubblici alle società da lei stessa amministrate. Né ad Intersiel, né a CM Sistemi, entrambe società di cui sono stata amministratrice, ed entrambe facenti parte del consorzio Tecnosud che metteva insieme Regione Calabria e Ministero dello Sviluppo. Ripeto: né l’una né l‘altra hanno mai preso una lira dalla Regione.
Anzi, De Magistris ha incriminato una pluralità di società per il solo fatto di avere avuto me come amministratrice, sebbene in alcuni casi non avessero ancora neppure cominciato ad operare. È questo il caso, ad esempio, del consorzio Clic, che si era appunto appena costituito mettendo insieme una serie di aziende dll’informatica calabrese con l’obiettivo di fare massa critica e risultare così più capaci di competere sul mercato. Mercato del quale, altrimenti, la Calabria continuava ad essere altro che una preda di aziende provenienti da fuori. Il consorzio – dicevo – si era appena costituito quando parte l’inchiesta di De Magistris; non aveva ancora avuto il tempo materiale di fare alcunché, se non rilevare le quote societarie di una società pre-esistente, e sempre operante nell’informatica,Tesi. Clic non aveva presentato progetti, né partecipato a gare, né niente. Né niente più farà, visto che Why Not ne ha bloccato sul nascere le possibilità di agire, con buona pace per le ricadute positive sull’economia calabrese che quell’iniziativa avrebbe potuto innescare. A Clic, poi, io avevo partecipato solo alla fase costitutiva, dall’ottobre 2004 ad ottobre 2005, dopo di che ero uscita per entrare in CM Sistemi, società anch’essa attiva nell’informatica. Eppure, nell’ordinanza di sequestro, De Magistris mette insieme – nero su bianco – praticamente il mio intero Curriculum professionale: tutte le società nelle quali avevo lavorato e persino l’elenco dei rispettivi amministratori. 15 pagine di nomi di persone che, per la quasi totalità, non hanno avuto nulla a che fare con l’inchiesta. Che c’entrava quell’elenco in un decreto di sequestro indirizzato a me? Ma questo – ho scoperto dopo – era il modo consueto di condurre le indagini per il Pubblico Ministero De Magistris.

Di che la si accusava allora? E su quali basi?
Ecco, e qui veniamo al bello. Di che mi si accusava? Di essere la moglie “imprenditrice” – ma ripeto, io ero solo una semplice manager, sebbene la differenza agli occhi di De Magistris non apparisse, giuridicamente parlando, così sostanziale – di un politico regionale che quindi ‘non poteva non tramare’.
Ed invece, io, dall’attività politico-istituzionale di mio marito ho avuto tutt’altro che vantaggi professionali. A giugno 2006 decido di dimettermi da CM Sistemi, di cui ero stata amministratrice dal gennaio del 2003. Decido di lasciare l’incarico per evitare problemi alla società e speculazioni politiche contro mio marito. Anche perché, appunto per impedire speculazioni di sorta, avevo deciso di non far partecipare CM a bandi di gara pubblici. Insomma, mi ero imposta un personale codice etico estremamente rigoroso. Ma non potevo certo danneggiare la società solo per evitare che i giornali ricamassero fantasiose speculazioni. Così mi dimetto.

Quindi – lei sostiene – la sua attività manageriale era trasparente, il conflitto di interessi rimosso dalle sue dimissioni dalle società che avevano rapporti con la Regione della quale suo marito era Vice-presidente…
Esatto. Infatti, la società presso la quale vado a lavorare, nel giugno 2006, dopo aver lasciato CM è Vallecrati, un’azienda che si occupava di servizi ambientali, e che non avrebbe potuto avere nulla a che fare con le deleghe assessorili di Adamo. Eppure, anche Vallecrati finisce nella trama ordita da De Magistris, sempre senza alcuna ragione. Pensi che, per dare supporto al suo teorema, nell’ordinanza di perquisizione il Pm scrisse che la presunta associazione a delinquere (per la quale era necessario essere almeno in tre), era composta oltre che, ovviamente, da me e Adamo, anche da tale Giulio Grandinetti, Sindaco supplente, appunto, di Vallecrati. Ebbene, questo Giulio Grandinetti era un omonimo del Giulio Grandinetti segretario di mio marito. Ripeto: un omonimo. Uno che io manco conoscevo. Ero in Vallecrati da tre mesi, avevo avuto modo di conoscere a malapena il collegio sindacale, dei supplenti ignoravo persino il nome. Quando leggo quel nome sul decreto di perquisizione non so davvero di chi si stesse parlando. Eppure, in quella circostanza, ho commesso un errore: non ho fatto immediato ricorso. Se l’avessi fatto, probabilmente, l’intero circo mediatico-giudiziario sarebbe finito sul nascere. Anche qui, col senno di poi…

Quindi per De Magistris la prova del rapporto criminale tra le sue attività societarie e il ruolo di amministratore pubblico di suo marito era questo Grandinetti.
Esatto. De Magistris però neanche si preoccupa di verificare che in realtà il Grandinetti al quale pensa lui non è lo stesso Grandinetti di Vallecrati, la società di cui sono manager. Eppure è su questo che si regge il suo ‘teorema’.

Beh, non può essere solo questo!
No infatti, non è solo questo. Quel campione di accortezza investigativa che è il, per fortuna ormai ex, Pm De Magistris di errori clamorosi nella persecuzione contro di me ne commette pure un altro. Scrive infatti – a riprova della sua tesi accusatoria – che la Vallecrati ha ceduto crediti dalla IFI Italia (società di factoring presente in azienda prima del mio arrivo) che – sostiene il Pm – “ha come unico azionista Finsiel”, altra società nella quale ho ricoperto incarichi dirigenziali. Errore da penna blu, quello del Pm: l’azionista di IFI Italia è, e non potrebbe essere altrimenti, una banca, la Bnl, non Finsiel. E dubito che Enza Bruno Bossio, o il di lei consorte Nicola Adamo, potessero arrivare addirittura a tramare con Bnl!

Insomma, una trama da fiction più che un’ipotesi accusatoria.
Già, eppure, dopo la perquisizione, a settembre 2006, le confesso che comincio a spaventarmi davvero. Nell’ordinanza, De Magistris alludeva al rischio di reiterazione di reato. Per cui, sa, mi preoccupo che un magistrato che arriva a costruire un tale castello d’aria possa non avere alcuno scrupolo anche ad arrestarmi, in via cautelare, per impedire appunto la ventilata reiterazione. E così, ad ottobre 2006, mi dimetto anche da Vallecrati, sebbene la società operasse in un ambito che nulla – ripeto: nulla – aveva a che fare con l’assessorato di mio marito.

Beh, ma nel corso della perquisizione qualcosa di probatoriamente rilevante sarà pur stato trovato, o no?
Sa cosa mi hanno prelevato? Delle presentazioni in PowerPoint. Presentazioni vecchie, progetti vari. Tutto puntualmente restituitomi di lì a pochi mesi perché completamente privo della benché minima rilevanza processuale. E stesso copione pure per i sequestri successivi, a casa mia, nelle società in cui ho lavorato, da mio marito…ovunque potesse esserci il mio zampino!

Scusi, Bruno Bossio, ma alla fine con De Magistris lei ci ha parlato, ha avuto modo di chiarire?
Tre richieste formali di interrogatorio ho avanzato. Negate tutte e tre. Finché, a marzo 2007, cioè sei mesi dopo avere ricevuto l’avviso di garanzia con perquisizione incorporata, ho deciso di andare a rilasciare una dichiarazione spontanea, che il Pm ha avuto la bontà di ascoltare, solo qualche giorno prima però che l’inchiesta si allargasse, ed oggetto delle attenzioni del temerario De Magistris diventasse Antonio Saladino, l’uomo grosso della Compagnia delle Opere, l’uomo con l’agenda fitta di nomi importanti, come Romano Prodi, Clemente Mastella…tutti, come noto, finiti nella tela inquisitoria – ed ormai anche mediatica – del ‘giustiziere di Catanzaro’. Ma questa è un’altra storia. O meglio un’altra parte di questa tragica vicenda di cui qui su Processomediatico avete già parlato.

Ma in definitiva, la sua vicenda processuale si è conclusa bene, è stata assolta, addirittura perché il fatto non sussiste, ha avuto giustizia. Può dirsi soddisfatta, no?
Beh, credo che chiunque finisca suo malgrado in un gorgo kafkiano come quello nel quale sono stata travolta io, in cui non si tratta più di giustizia, di processo, di un accusa e di una difesa che si confrontano, ma di un accusa che elabora, aldilà di qualunque elemento fattuale un ‘teorema’ e su quel teorema ci costruisce un caso mediatico di straordinaria risonanza, ebbene non è così facile dirsi soddisfatta solo perché, alla fine, verità è stata fatta.
Anche perché – ed è questa la cosa che, aldilà della mia vicenda personale, più mi affligge – De Magistris ha arrecato un danno enorme alla Calabria, a quel poco di iniziativa imprenditoriale che stava per sorgere, a quel poco di possibilità di generare un indotto produttivo. Ecco, tutto quel bene che si stava cercando di fare in Calabria l’inchiesta Why Not l’ha distrutto. Il consorzio Clic che avrebbe potuto davvero rappresentare un asset di sviluppo importante, in un settore ‘alto’ come l’informatica, è stato semplicemente costretto alla paralisi.
D’altra parte, l’inchiesta nasceva da null’altro che da un pregiudizio ideologico anti-imprenditoriale dell’allora magistrato. Per De Magistris, attività economica, impresa sono sinonimi di attività criminale. Emerge assai chiaramente questo aspetto nel suo stesso libro quando racconta, ad esempio che poiché nel computer che aveva in dotazione in procura era installato software fornito dalla CM Sistemi (la società che aveva regolarmente vinto l’appalto per le dotazioni informatiche del Ministero della Giustizia), e siccome di CM Sistemi io ero stata, in passato, manager, allora il Pm, ha sostenuto che io, socia di Cm (altra falsità conclamata) usavo questo software per spiarlo! Evidentemente ha pensato che un’azienda affermata, riconosciuta al punto da esser fornitore del Ministero, come appunto la CM Sistemi, potesse arrivare a rubare i segreti delle sue indagini, compiere quindi un reato gravissimo, per passarli a me, una ex dipendente! Ecco, si deve proprio avere una opinione distorta della figura dell’imprenditore per poter arrivare a concepire tanto.
Comunque, per tornare alla sua domanda, la risposta è no, non posso dirmi soddisfatta perché quell’uomo non solo ha creato danni irreparabili a me, alle centinaia di persone come me ingiustamente perseguitate e ‘sputtanate’, ma ha creato danni economici insanabili alla mia terra. L’esperienza Why Not – ed è bene che lo si capisca – non è stata solo un disastro giuridico: è stata una terribile sciagura per il già asfittico tessuto economico calabrese, una sciagura per quei tanti che, dai progetti imprenditoriali che De Magistris ha impedito di sviluppare, avrebbero invece potuto beneficiare.

Mi rendo conto. Ormai comunque, la partita può dirsi chiusa. De Magistris non fa più il Pm. Lui ormai fa il politico…
Ecco, appunto. Fa il politico che beneficia di quelle immunità che pretende invece di negare agli altri. Una faccia tosta incredibile. Mi chiedo se si avvarrà dell’immunità di euro-parlamentare anche nel procedimento che gli ho intento per diffamazione, per le falsità scritte nella sua già citata auto-agiografia. Gli ho intentato una causa civile. Chiedo il risarcimento materiale. Visto che è stato magistrato, e che per la giustizia quindi non può che nutrire fiducia, mi chiedo cosa possa avere mai da temere nell’affrontarmi in tribunale: se ritiene di essere dalla parte della ragione, ovvero di non avermi diffamata ma di aver scritto solo la verità, non si avvalga dell’immunità, si faccia processare.
Ecco, lei che dice, si farà processare o farà invece come quell’altro signore lì…?

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