di Fabrizio Rondolino da “Il Giornale”
Il duello Moratti-Pisapia su Repubblica e l’Unità è il pretesto per evocare un “dossieraggio” da parte del centrodestra…
La voce, su Wikipedia, è stata rimossa per «recentismo»: si tratta cioè di un’espressione troppo recente per poter essere adeguatamente descritta in un’enciclopedia. Sarà nuova, ma è già ampiamente inflazionata, e francamente un po’ stucchevole. Parliamo del «metodo Boffo», rispolverato in questi giorni a proposito del colpo basso (o dell’unghiata, a seconda dei punti di vista) sferrato da Letizia Moratti all’ultimo minuto del duello tv con Giuliano Pisapia. Il «metodo», com’è noto, prende il nome dalla vicenda che coinvolse questo giornale e l’allora direttore di Avvenire Dino Boffo (non la riassumo perché, lo confesso, non ci ho capito nulla: tranne che la verità, come sempre, è un’interpretazione), e significa grosso modo sputtanamento mediatico di un innocente di centrosinistra da parte di un picchiatore di centrodestra. Se invece un’analoga azione viene compiuta in senso inverso e lo sputtanato è di centrodestra, si parla di inchiesta giornalistica; il primo è dossieraggio e killeraggio, il secondo ricerca della verità. Apro una breve parentesi personale. Sono approdato da poco su queste colonne, dopo anni alla Stampa e, prima ancora, all’Unità: e qualche pregiudizio l’avevo anch’io. Nel mondo dell’informazione, quelli del Giornale sono i brutti, gli sporchi e i cattivi della compagnia; loro, ho scoperto, ci ridono sopra e un pochino se ne vantano. Ma c’è una cosa che ai miei neocolleghi proprio non va giù: i due pesi e le due misure. E hanno ragione. Non ci sono in Italia giornalini parrocchiali e giornalacci squadristi: c’è invece un’aspra lotta politica – peraltro non nuova nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini – che coinvolge, come sempre è accaduto nella storia almeno dalla Rivoluzione americana in poi, cioè da quando esiste la libertà di stampa, anche i giornalisti e i giornali, i quali anzi, dal Federalista in poi, sono sempre stati all’avanguardia della battaglia culturale, politica, ideale.Mia figlia, che ha vent’anni e legge esclusivamente Repubblica, mi ha detto un giorno che l’unica differenza fra il Giornale e il quotidiano di Ezio Mauro è che il primo ti fa capire subito da che parte sta, mentre il secondo si presenta come il Corriere, ma non è meno schierato. Lei condivide molte campagne di Repubblica, ma non si scandalizza che il Giornale faccia le sue. E certo lo sputtanamento personale di Berlusconi, indipendentemente dal profilo giudiziario, è un esempio piuttosto ben riuscito di macchina del fango, nella quale – ed è molto grave – sono state intrappolate un buon numero di ragazze del tutto innocenti.Se vogliamo essere onesti, dobbiamo ammettere che il giornalismo è per natura, e non soltanto storicamente, una parte essenziale del lavoro politico. Raccontare i fatti significa necessariamente offrirne un’interpretazione, e questo è un atto politico. Vale per la cronaca nera – silenziata nei regimi dittatoriali, esaltata nelle democrazie a seconda delle convenienze -, figuriamoci se non vale per la politica in senso stretto.E infatti è così: l’informazione italiana oggi ha sostituito gli agit prop di partito. Tant’è che nessuno si stupisce se nei talk show sono i direttori e gli editorialisti del Giornale o di Repubblica, di Libero o del Fatto, dell’Unità o del Tempo a definire, molto più dei politici, le idee e l’immagine del centrodestra e del centrosinistra. Questi illustri colleghi non vanno in tv come cronisti, ma come militanti. E sono ottimi cronisti perché sono militanti intelligenti.Ci si può lamentare di questa situazione, e considerarla una perversione della libera stampa; al contrario, a me pare per l’appunto un’espressione di libertà, il cui unico limite è non ledere la libertà di espressione degli altri. Ciascuno, poi, potrà scegliere se usare il fioretto o la bomba atomica, la battuta triviale o l’insinuazione mascherata di pretesa oggettività. I sistemi per manipolare e strumentalizzare una notizia sono infiniti, e l’unica garanzia che ha il lettore è che ci siano tanti giornali. Siccome poi i lettori sono anche elettori, decideranno di volta in volta se premiare gli urlatori o i melodici. Ma, per favore, lasciamo stare una volta per tutte il «metodo Boffo».