I temi dirimenti il dibattito che da tempo si svolge tra garantisti e colpevolisti, con particolare riferimento alla valutazione dell’opera di alcuni magistrati, in questo articolo pubblicato dal Corriere della Sera in data odierna, vengono affrontati con un linguaggio diretto da una voce autorevole interna alla stessa magistratura. Giovandomenico Lepore è certamente un autorevole procuratore che in questi anni non ha rinunciato a dirigere e sostenere inchieste su esponenti politici. In questa intervista, però, non fa mistero di esporre un pensiero che non considera, eticamente insindacabile la responsabilità civile e professionale di alcuni magistrati che hanno utilizzato le loro inchieste per sostituirsi ai politici e fare loro stessi carriera politica.
Lepore: «La politica sceglie solo
i pm che fanno indagini famose»
«C’è chi approfitta dei processi per finire in televisione
e invece di essere punito dal Csm è chiamato dai partiti»
NAPOLI — Giovandomenico Lepore, ha ascoltato l’appello del presidente della Cassazione? Dice che servono magistrati più preparati e autonomi.
«Ha perfettamente ragione».
Pensa che quelli di oggi siano poco competenti?
«Le nuove leve mi fanno ben sperare. Ma gli altri…».
Gli altri?
«Be’, basti pensare che non si riescono a coprire tutti i posti messi a concorso. E anche quelli che passano non è che siano proprio dei geni».
Condivide anche l’invito ad essere più super partes?
«Certo. Chi ha fatto il magistrato è cresciuto nel culto dell’autonomia, come può poi accettare di entrare in politica e sottostare alle sue regole?».
C’è chi lo fa.
«Sì, ma chi? Si tratta, nel 99% dei casi, di magistrati che hanno cavalcato l’onda di un grande successo, la ribalta mediatica. C’è chi approfitta della notorietà di un processo per finire in tv o sui giornali. E che invece di essere punito va in politica».
I suoi (ex) colleghi non la prenderanno molto bene.
«Ma la colpa è proprio della politica, che sceglie i magistrati famosi. Perché nessun pm o giudice di provincia è mai stato chiamato?».
Perché?
«Semplice, perché non è mai finito sui giornali, dunque non era un nome famoso da presentare agli elettori». Giovandomenico Lepore, ex procuratore di Napoli in pensione da un mese, sabato era seduto nell’aula «Pessina» della facoltà di Giurisprudenza durante la presentazione del libro di Luigi Labruna. E ha ascoltato il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, sottolineare i due paradossi della magistratura. Il primo, tecnico, fa riferimento all’abbassamento del «livello minimale» di preparazione, proprio quando per effetto della complessità sociale sarebbe necessaria la massima capacità tecnica. Il secondo, professionale, è relativo alla circostanza che, proprio quando è chiamata a manifestare il massimo grado di indipendenza, la magistratura risulta invece molto più coinvolta nell’azione politica, e cresce il numero dei suoi esponenti eletti o chiamati ad esperienze amministrative.
Lepore, cos’è quello del presidente della Cassazione: un rimprovero, un invito, un allarme eccessivo?
«Eccessivo certamente no. È, piuttosto, la presa d’atto di una situazione».
Davvero i magistrati sono così impreparati?
«Oddìo, mo’ torniamo agli asinelli e agli stalloni citati da Vincenzo Galgano in un’intervista rilasciata a lei?».
Può iniziare dai puledri…
«Ecco, quelli sono le ultime leve. Ho la sensazione che siano migliorati, e questo mi conforta».
Addirittura?
«Abbiamo avuto un periodo di magistrati non all’altezza, in cui c’erano più posti a disposizione che promossi».
La colpa?
«Una preparazione universitaria del tutto insufficiente. Escono da lì pieni di teoria, ma gli mancano due qualità fondamentali per un magistrato».
La prima?
«La pratica. Ma quella, al limite, possono farla con il tirocinio».
La seconda?
«Il buonsenso. E quello, se non l’hai imparato, nessuno te lo insegna più».
Rimedi?
«Ora stanno varando scuole, accademie. Vediamo se porterà benefici».
I nuovi magistrati dovranno imparare anche a star lontano dalle tentazioni della politica?
«Il presidente della Cassazione segnala un paradosso reale: i magistrati devono essere super partes, però poi certi alla fine parteggiano per una parte politica, qualunque essa sia».
Una spiegazione ce l’ha?
«Si deve ritenere che o sono stati fulminati dall’impegno politico nel corso della loro esistenza oppure, circostanza che non si può escludere, che abbiano fatto politica mentre svolgevano le funzioni di magistrato».
Le sembra normale?
«Scusi, ma se nel Csm esistono correnti che sono espressione delle idee politiche di questo Paese, di che vi meravigliate? Non chiamate Mi la corrente di destra ed Md quella di sinistra?».
Altri nemici in vista: vorrebbe l’abolizione delle correnti?
«Vorrei che il magistrato manifestasse le sue idee solo quando vota, non aderendo a correnti o, peggio, entrando in politica».
Guardi che nell’ultimo anno lei è stato accusato di «politicizzazione» e «spettacolarizzazione delle inchieste». Marco Pannella su «Radio radicale» l’ha attaccata aspramente…
«Neppure gli rispondo. E poi attenzione a distinguere tra capo e pm. Il procuratore è l’unico che risponde di ciò che fa l’ufficio, ma spesso si verificano casi in cui un soggetto che fa un’inchiesta eclatante vuole che il suo nome esca sul giornale o cerca spazi in televisione. La vetrina attira molti».
Scusi, ma non è il capo che deve controllare?
«Sì, e sono previste pure sanzioni».
E allora?
«E allora quelle sanzioni si riducono a poco. Basta premettere nella dichiarazione o nell’intervista che si parla in generale: sui giornali o in tv ci finisci lo stesso, davanti al Csm no».
È sufficiente fare un’inchiesta da copertina per assicurarsi un futuro in politica?
«È il meccanismo di selezione della politica che è perverso. I partiti scelgono i magistrati solo in base alla fama e alla risonanza mediatica della loro attività. Chissà perché la stragrande maggioranza viene da uffici grandi, come Roma, Napoli e Milano, o particolarmente esposti».
Prevede che un pm di provincia non lo eleggeranno mai?
«Ha meno occasioni di diventare famoso. Pensiamo ai magistrati bravi: Giancarlo Caselli e Luciano Violante sarebbero stati mai cooptati se fossero stati ignoti e non avessero combattuto mafia e terrorismo? E Giuseppe Narducci perché ha fatto notizia? Perché era il pm di Calciopoli: avesse seguito le inchieste sui furti d’auto, magari non l’avrebbero considerato».
Quindi lei che è stato procuratore della Repubblica potrebbe…
«Potrei. Ma non voglio».
È il suo no ufficiale ai partiti?
«L’ho sempre detto: mai in politica. Certo che se però mi nominassero senatore a vita…».
Gianluca Abate
17 gennaio 2012