Stefano Rodotà definisce le prossime elezioni politiche come un passaggio a dir poco impegnativo, per certi versi epocale. Per questo, spiega, ha lanciato insieme ad altri intellettuali e costituzionalisti un appello per il voto al centrosinistra.
Professore, anche lei fa un appello al voto utile?
«Siamo di fronte ad un passaggio della politica e della società italiana molto impegnativo, stretti tra un passato che non vuole passare e ha provocato i disastri che abbiamo di fronte, una crisi che ancora ci avvolge e la presenza di forze che non sono, a mio giudizio, in grado di fornirci i mezzi necessari per superare questa fase. Per questo pensiamo sia necessario fare un investimento su una coalizione che può avere i numeri in Parlamento per affrontare una situazione così difficile e complessa».
Questa è una partita che si gioca soprattutto in Lombardia e in Sicilia. Vi rivolgete agli elettori di Ingroia e Grillo?
«Noi ci rivolgiamo a tutti coloro che in questo momento hanno evidente quale sia la situazione. Non si sta parlando di voto utile ma della capacità di investire su un insieme di forze che sono in grado di portare il Paese fuori da questa strettoia. Noi abbiamo una legge elettorale che ha portato delle distorsioni nel sistema democratico e soltanto gli elettori con il loro voto possono in parte correggerla evitando il rischio di avere maggioranze diverse tra Camera e Senato. Si creerebbe un problema istituzionale».
Si dovrebbe tornare al voto?
«In teoria è possibile sciogliere una sola delle Camere per poter riequilibrare il sistema nel suo funzionamento. Noi invitiamo a evitare che questo accada, a non disperdere il voto e, per quanto ci riguarda, consideriamo il centrosinistra l’unica forza in grado di garantire stabilità. A preoccuparci è anche l’ipotesi di trovarci di nuovo di fronte a una maggioranza berlusconiana all’interno del nostro panorama parlamentare perché sarebbe un vero disastro per questo Paese. Il centrosinistra deve avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento e deve essere una maggioranza coesa, cosa che è realizzabile soltanto se la coalizione esce dalle elezioni forte».
In pratica senza dover ricorrere a Monti?
«È chiaro che in politica bisogna tenere conto delle condizioni effettive e con queste ci si deve misurare. Il centrosinistra si presenta con un programma molto chiaro e uno schieramento definito, Mario Monti con i suoi continui attacchi a Nichi Vendola rende davvero difficile il dialogo politico. Vendola non è il demonio, fa delle proposte molto chiare con le quali credo che tutti si debbano confrontare, così come Monti chiede che si faccia con le sue».
Non le piace come Monti sta conducendo questa campagna elettorale?
«Monti non è il depositario della verità e in politica questa è una posizione pericolosissima. Il centrosinistra ha un suo programma e se sarà necessaria una trattativa la stessa non potrà che avvenire partendo dal confronto con la forza maggioritaria. Bisogna ricostruire un corretto funzionamento delle elezioni: chi vince le elezioni ha diritto di governare. Tutti dovrebbero partire da questa premessa».
Il messaggio è per Casini secondo il quale nel caso in cui Bersani non ottenesse la maggioranza anche al Senato il premier dovrebbe essere Monti?
«L’Italia purtroppo è stata molte volte indebolita nella capacità di governo da forze minoritarie che esercitavano una rendita di posizione per imporre il loro punto di vista. Credo che questa sia una linea da abbandonare. Mario Monti non potrà dire “queste sono le mie posizioni”, dovrà confrontarsi con il programma della coalizione che arriva prima alle elezioni».
Si parla molto delle spinte populiste che ci sono nel Paese e in alcune forze politiche. Ma si tratta solo di questo o il malcontento degli italiani trova anche ragioni nella debolezza e nelle grandi mancanze della politica?
«C’è una rabbia sacrosanta e giustificata, nata dalla scomparsa dell’etica pubblica che ha eroso le basi della democrazia. Il circuito di fiducia tra cittadini e istituzioni è fondamentale e va ripristinato. In questi giorni sento di nuovo dire “non siate moralisti”. È una posizione che non condivido. Credo, infatti, che si debba essere fermissimi nella ricostruzione della morale pubblica. Non abbiamo prospettive diverse, i modi di esprimere la propria rabbia e la propria protesta sono due: o assecondare il populismo e mettersi nelle mani di Grillo o Ingroia, che hanno cavalcato il personalismo della politica, oppure affidare il proprio voto ad una forza politica in grado di cambiare davvero le sorti del Paese. C’è bisogno di riattivare la democrazia non di personalizzare la politica».
Ingroia come Grillo?
«Ma come si può mettere il proprio nome a caratteri cubitali sul simbolo del partito? Non è soltanto un fatto formale, stiamo parlando di un modo di intendere la politica e i partiti. Per questo ho apprezzato molto il fatto che sul simbolo del Pd non ci sia alcun nome».
Fonte: L’Unità