di NICOLA ADAMO
Pubblicato su “Calabria Ora” domenica 14 aprile 2013
In Svizzera il suicidio assistito è legalmente riconosciuto.
Pietro D’Amico ha deciso così di farla finita.
Ovviamente, una scelta che si può portare a compimento solo se è prevalente e provata l’ossessione di morire di fronte alle prove imposte dalla legislazione elvetica.
Puoi morire solo se c’è comprovata ed irreversibile certezza della volontà di morire. E D’Amico ha deciso deliberatamente di farlo.
Probabilmente ha persino combattuto per affermare la volontà di morire riuscendo a tenere all’oscuro gli amici ed i familiari.
E’ indubbio che l’abbia fatto perché ha avvertito il desolato sentimento di chi sente di essere privato del diritto di continuare a dare un senso alla propria vita.
D’Amico era notoriamente riconosciuto come magistrato competente, ineccepibile nel senso dell’equilibrio e della serenità dell’uomo di legge.
Un Alto Magistrato che ha condotto la sua attività professionale tenendo fede al principio che l’esercizio della giustizia non poteva essere piegato all’uso strumentale, ad ambizioni personali o, comunque ad interessi particolari e di parte.
Egli ha impersonato la figura del magistrato al di sopra di ogni sospetto.
La sua era una concezione tanto radicata quanto estremizzata fino al punto di divenire preda di una esasperazione concettuale che lo portò prima a dimettersi, quando era nel pieno della sua attività, dalle funzioni di magistrato e poi ad interrompere persino ogni rapporto di tipo professionale e personale con i suoi colleghi.
Non faceva mistero della sua superiorità morale e professionale: “Questa magistratura non mi merita”.
Una superiorità tanto sufficiente a fargli maturare l’idea che lo portò a troncare non solo con la professione ma con quella vita che egli identificava con la missione di un uomo che aveva servito giustizia giusta per dover subire, invece, una improvvida ingiustizia.
Il suicidio di solito è considerato un atto di vigliaccheria ma mai come in questo caso dovrà essere grande il rispetto verso chi ha deciso di non soccombere all’opportunismo ed alla convenienza personale per difendere la carriera e la propria postazione professionale.
Anzi, va riconosciuto il rispetto verso un eroe e gridato il sentimento di avversione verso chi è il responsabile morale di questa morte.
Non esagero se dico che non si tratta di suicidio assistito ma di omicidio colposo.
Il Sindaco di Napoli Lugi De Magistris e le migliaia di cittadini che a suo tempo gli hanno dato fiducia dovrebbero riflettere ed invocare perdono.