Questa è stata una brutta settimana, dopo quella successiva al risultato elettorale. Probabilmente le due cose sono collegate. Siamo arrivati primi, ma abbiamo perso le elezioni. Nessun partito ha vinto al Senato e si è determinato un equilibrio instabile tra tre forze politiche senza nessuna convergenza possibile. È in questo campo oggettivamente impraticabile che Bersani ha provato ostinatamente a fare il governo del cambiamento, respingendo le sirene di Berlusconi, e cercando un accordo con chi, almeno nei programmi, questo cambiamento affermava di volerlo. E nella Direzione nazionale abbiamo approvato questa linea. Ma la verifica inevitabile è stata che Grillo non vuole salvare l’Italia dalla crisi, non vuole dare risposte ai disoccupati, ai cassaintegrati, alle imprese. Non vuole una riforma elettorale che consenta ai cittadini di scegliere direttamente il proprio rappresentante. Vuole solo umiliare e abbattere il sistema e Bersani, non Berlusconi, è il suo obiettivo. In questa situazione l’incarico a Bersani non poteva che fallire. A questo punto forse bisognava fermarsi e riconvocare la Direzione che gli aveva dato il mandato di fare il governo solo a certe condizioni, e spiegare che per il Presidente della Repubblica il mandato doveva essere più ampio. Invece questo non è accaduto e mentre i grillini proponevano uno dei nostri (in una forma certamente inaccettabile, ma comunque dei nostri) le nostre scelte venivano verificate solo con Monti e Berlusconi. Qui è avvenuto il primo strappo, il primo “tradimento” (ma che senso ha in questo momento politico questo termine ?) con ben 200 parlamentari che hanno votato contro le indicazioni del segretario e della maggioranza che aveva accettato la proposta. Ma la schizofrenia non finisce qui. Nonostante tutto Marini prende 520 voti, insufficienti per i primi tre scrutinii, ma utili per il quarto. Si poteva continuare su questa linea, ma invece si decide di ritirare Marini, contro la volontà dello stesso, e mettere in pista Prodi. Aldilà del giudizio più o meno positivo su l’uno e sul l’altro comunque Prodi rappresenta un altro inspiegato cambiamento di rotta, contro Berlusconi, ma anche contro Monti. Quindi, siccome il centrosinistra non era autosufficiente per eleggere da solo un proprio rappresentante ( 496 i nostri numeri) erano per forza necessari i voti di Grillo. Ma Grillo dice no assolutamente a Prodi, nonostante fosse stato indicato dalle “quirinarie”: e allora perché non convergere su Rodotà ? Ma non era facile convergere su Rodotà dal momento che Grillo o chi per lui lo hanno proposto nelle piazze ma mai ad un tavolo istituzionale. E intanto qualcuno dei dirigenti nazionali del Pd cedeva al populismo e ai maldipancia e pensando di salvare la propria faccia uccideva il partito. A questo punto nei grandi elettori del centrosinistra tutte le regole saltano e ognuno decide di andare per la propria strada senza sentirsi vincolato su nulla. Bersani non può che dimettersi e con lui tutta la segreteria. In questa condizione sempre più ingovernabile l’unica strada possibile è sembrata, e per fortuna è stata, la ricandidatura di Napolitano. Non come autotutela della “casta” ma a tutela della democrazia e degli interessi di un Paese che oggi più che mai ha bisogno di un governo che faccia subito alcuni provvedimenti sociali ed economici e la riforma elettorale.
Ma oggi più che mai c’è bisogno di un partito riformista e di sinistra. Un partito che sia dalla parte della giustizia sociale e dei più deboli. Un partito in grado di fare le grandi riforme istituzionali senza cedere al massimalismo e al giustizialismo. Saremo in grado di fare tutto questo? Io credo di si. Ci sono nel PD alcune delle forze migliori della classe dirigente italiana, del popolo italiano. Mettiamole in pista con la forza del nostro progetto.
Intervista su LaCnews sul femminismo di facciata del PD calabrese
La mia analisi sull’approccio del PD calabrese verso le donne. LaCnews24