Il decreto legge che oggi andiamo a convertire rappresenta un provvedimento che non è solo la tutela di un diritto, ma punta al riconoscimento della violenza di genere come reato dotato di una sua specificità culturale. E’ proprio questo l’aspetto più innovativo: la violenza contro le donne, la violenza di genere è censurabile non solo dal punto di vista dell’atto violento in sé, ma come violenza rivolta ad un soggetto che è portatore di una sua specificità culturale evidentemente disconosciuta fino ad ora.
Qualcuno ha detto che inserire le misure in materia di femminicidio in un pacchetto sicurezza sia stata una scelta infelice, sia simbolicamente che metodologicamente. Forse in parte è vero, ma nelle commissioni di merito è stato fatto un lavoro straordinario che ha dato a questo decreto un volto nuovo che può collegare questo momento a quello delle grandi conquiste delle donne dagli anni 70.
Dico ciò senza enfasi, perché ciò che la legislazione italiana ha superato progressivamente nel corso degli ultimi decenni (la sentenza della Corte costituzionale del 1968 che dichiarava incostituzionale la diseguaglianza dei sessi nella punizione di adulterio e concubinato, le leggi per l’introduzione del divorzio e dell’aborto, e, in ultimo la legge che dichiara il reato di stupro contro la persona e non più contro la morale) è stato il superamento dell’ostacolo culturale costituito dal corpo delle donne.
Anche oggi come allora l’ostacolo è il corpo delle donne, ma è anche quel corpo che rappresenta il simbolo della differenza e del rispetto tra i sessi, del rispetto dell’altro da sé.
Oggi la violenza colpisce la donna che si rende autonoma. Se la donna acquista una sua autonomia e libertà di scelta e di decisione, se si sottrae al rapporto ineguale di possesso, allora scatta la violenza maschile che giunge fino alla distruzione e all’annientamento. A questo contribuisce anche l’impostazione dell’educazione sentimentale dei giovani, fondata prevalentemente su criteri di forza, di caccia, lotta, vittoria, possesso, ma anche dalla paura di non riconoscere la propria identità specchiandosi in un altro che non riesce ad accettare come diversamente autonomo
Occorre, dunque, investire molto sulla prevenzione e sulla formazione, e soprattutto sull’educazione delle nuove generazioni al rispetto della differenza e della reciprocità fra i generi e fra le generazioni. Dobbiamo agire sugli stereotipi, a livello scolastico, è lì che si comincia. Non sono sufficienti campagne di spot pubblicitari momentanei che si stemperano nella marea delle comunicazioni promozionali. Bisogna intervenire utilizzando uno strumento di lunga durata: l’insegnamento nelle scuole. Si tratta, in definitiva di introdurre la cultura del rispetto del diverso: dei sessi, delle etnie, delle opinioni, della non violenza, tutte cose che si insegnano, ed apprese si mettono in pratica.
Vorrei concludere qui ricordando qui la storia della autrice della dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina nel settembre 1792 che affermava nell’introduzione: “Uomo sei capace di essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non le toglierai almeno questo diritto. Dimmi? Chi ti ha dato il sovrano diritto di opprimere il mio sesso? La tua forza? I tuoi talenti? Osserva il creatore nella sua saggezza, guarda la natura in tutta la sua grandezza, alla quale sembri volerti avvicinare, e dammi, se ne hai il coraggio, l’esempio di questo impero tirannico”.
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Oggi alle 12 al Festival del Leggere e scrivere a Vibo Valentia