La Fini-Giovanardi emanata dal Governo Berlusconi nel 2006 è una legge abnorme perché annulla la distinzione scientificamente accertata tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”. Ma è anche una norma sproporzionata perché prevede pene pesantissime (carcere da 6 a 20 anni e multe da 26.000 a 260.000 euro) per un reato che in altri paesi è punito spesso solo con sanzioni amministrative o con misure alternative al carcere.
La sua applicazione dal 2005 ad oggi ha prodotto il risultato che la semplice detenzione di una quantità di cannabis o hashish appena superiore al consumo personale ha spesso portato in galera migliaia di giovani devastandone l’esistenza più della presunta dipendenza.
Una cura, dunque, che si è rilevata più dannosa della malattia dal momento che il consumo di droghe non accenna affatto a diminuire.
Una norma, d’altro canto, approvata con un procedimento che lascia forti dubbi di costituzionalità perché inserita in fretta e furia poco prima dello scioglimento delle Camere in una legge di conversione con la quale non aveva in comune né l’oggetto (era il decreto “Olimpiadi”) né i criteri di necessità ed urgenza.
D’altro canto dovunque le politiche proibizioniste, di cui la Fini-Giovanardi è stata l’applicazione italiana, sono fallite: il consumo di sostanze stupefacenti non è in generale diminuito, il traffico è cresciuto così come il potere delle organizzazioni criminali che ne detengono il monopolio. A finire in galera sono stati per lo più i micro-spacciatori-consumatori mentre i grandi organizzatori del traffico hanno invece continuato ad arricchirsi indisturbati.
In altri paesi, invece, lungimiranti politiche di tolleranza e la depenalizzazione del consumo delle droghe leggere, hanno reso normale ciò che altrove si era trasformato in ricerca e consumo sfrenato che, come ha dimostrato in un suo studio assai documentato Milton Friedman, è inversamente proporzionale alla liberalizzazione.
“La repressione – infatti – non funziona” e “occorre sperimentare modelli di legalizzazione che colpiscano la criminalità organizzata e salvaguardino la salute dei cittadini’ recita il documento della Commissione globale sulla politica delle droghe del 2011.
Lasciare alle mafie la gestione del mercato delle droghe leggere ha procurato ad esse enormi profitti grazie alla vendita di un prodotto spesso alterato e quasi sempre pericoloso. Ciò senza considerare i danni sociali che discendono dal circolo vizioso di violenza, prevaricazione ed omicidi che ruota attorno a questo traffico.
Sostanze che, invece, la sperimentazione medica sta dimostrando essere utili, al pari e meglio di tanti farmaci chimici, nella cura di alcune patologie e nell’attuazione di terapie del dolore meno invasive nella cura del cancro, dell’epilessia e della sclerosi multipla.
Non si può, del resto, dimenticare che la depenalizzazione dell’uso terapeutico delle droghe leggere nel nostro Paese sarebbe già possibile in virtù di una Tabella ministeriale del 2007 che riconosce alla canapa i benefici di cui sopra, ma l’assenza di protocolli attuativi regionali rende impossibile o molto costoso praticare ciò che dovrebbe essere invece accessibile ed utile a tutti. L’unica regione italiana ad avere adottato un protocollo in questo senso, finora, è stata la Toscana.
Inoltre lo Stato italiano verrebbe sollevato dall’enorme onere di spesa che occorre per mantenere attive in questa donchisciottesca lotta alle droghe leggere: tutto l’apparato di forze dell’ordine, ospedali e carceri necessario e, magari, trasformarlo in un entrata per le sue casse.
Deve dunque cadere il pregiudizio nei confronti delle droghe leggere ed ogni loro improprio accostamento ad altre sostanze ben più pericolose.
Come non tenere presente il fatto che tabacco e alcool siano le prime due cause di morte nel mondo e nel contempo rappresentano anche due redditizi monopoli di stato ? Uno stato moderno e laico non può, quindi, continuare ad approcciarsi in maniera ideologica ad un fenomeno che, invece, opportunamente depenalizzato e posto sotto il suo controllo, determinerebbe immediatamente minori costi sociali.
La depenalizzazione delle droghe leggere sarebbe dunque un modo davvero efficace per contribuire da una parte ad una efficace consapevolizzazione delle giovani generazioni verso i reali pericoli delle tossicodipendenze e dall’altra darebbe un colpo mortale a quello che oggi costituisce uno dei principali “affari” delle organizzazioni criminali.
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