Intervento in aula sulla Relazione della Commissione Antimafia sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Nel settembre 2013 la banca dati del SIPPI (Sistema Informativo delle Prefetture e delle Procure Italiane) ha censito 113.735 beni di cui 41.451 confiscati e solo 4847 effettivamente destinati.
E’ evidente, dunque, che c’è una mole molto ampia di beni pronta per essere destinata al riutilizzo sia da parte dello Stato che da parte degli enti territoriali, ma che, nonostante le richieste, non viene assegnata.
La nomina del nuovo direttore dell’Agenzia decisa dal Governo rappresenta un segnale importante che, tuttavia, non tiene conto di quanto avevamo proposto in Commissione quando ravvisavamo la necessità della nomina di un commissario e non di un direttore perché da riformare non è solo l’Agenzia ma tutto il sistema del sequestro, confisca, destinazione e utilizzo dei beni.
E’ necessario affrontare le criticità di un corpus normativo disorganico che produce sovrapposizioni e contraddittorietà nel definire la destinazione dei beni confiscati.
Queste criticità rischiano di far perdere progressivamente il valore simbolico della confisca e del passaggio di proprietà dei beni dalla mafia alla collettività, alle associazioni, agli enti pubblici, necessario per radicare la cultura della legalità e dimostrare la presenza dello Stato.
Va sottolineato, inoltre, il valore della proposta della Commissione antimafia di assegnare all’Agenzia la competenza esclusiva solo per la destinazione dei beni dopo la definitiva confisca e quella di coadiuvare il giudice delegato durante le fasi precedenti a partire dal sequestro, dotandosi di risorse umane, professionali e materiali adeguate.
Molto più complesso è invece il problema di mantenere sul mercato le aziende confiscate. Se infatti si confisca un’azienda alla criminalità bisogna fare in modo che essa continui a funzionare e a dare lavoro, pensando anche ad un welfare specifico per i lavoratori che rimangono disoccupati in seguito al sequestro. Altrimenti passa il messaggio che la mafia dà lavoro e lo Stato lo toglie.
Ha ragione Raffaele Cantone quando dice: “oggi i beni confiscati rappresentano la grande occasione in cui lo Stato smette di presentarsi solo con la faccia dei carri armati e delle manette, ma li utilizza come vere e proprie start up delle attività economiche. Dobbiamo lasciarci alle spalle certe esperienze in cui i beni confiscati sono stati utilizzati in una logica sociale vecchio tipo. Insomma meno ludoteche e meno centri per gli anziani, più utilizzo dei beni confiscati per lo svolgimento di attività economiche”.
Ecco perché i beni sequestrati, frutto di sopraffazione, di violenza, di speculazioni, non possono semplicemente essere restituiti alla comunità ed agli enti locali ma devono diventare una opportunità per creare lavoro e sviluppo coinvolgendo di più e meglio i privati.
In questo senso occorre pensare a sgravi fiscali per quelle aziende che decidono di investire utilizzando i beni confiscati e anche per chi acquista da esse. Creare un sistema di convenienze e di responsabilizzazione collettiva che rappresenta anche un modo efficace per contribuire al prosciugamento della cosiddetta “zona grigia”, quel sistema di connivenze, reticenze e indifferenze non necessariamente illegali ma che rappresentano l’humus in cui può crescere la cosiddetta mafia dalla faccia pulita non meno pericolosa ed invasiva di quella tradizionale.
In tale ottica la Commissione propone che l’Agenzia venga sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, ove vi è il raccordo di più ministeri (giustizia, interno, sviluppo economico, lavoro) interessati alla destinazione dei beni e non più alla sola vigilanza del Ministero dell’Interno.
Lo dico come parlamentare del Mezzogiorno e della Calabria: la mafia e la ‘ndrangheta saranno definitivamente sconfitte quando lo Stato sarà capace non solo di riappropriarsi dei patrimoni delle organizzazioni criminali ma soprattutto quando saprà riconvertirli in bene comune e in occasione di lavoro e di sviluppo.
Era questa l’intuizione più grande di Pio La Torre, al cui sacrificio dobbiamo l’avvio di quella legislazione che ha consentito di aggredire la criminalità proprio laddove si concentra il suo interesse fondamentale, il potere economico.
Una intuizione quella di La Torre maturata nel fuoco dello scontro con una criminalità che, appena ragazza, vissi direttamente al capezzale di Giannino Losardo dirigente del PCI caduto a Cetraro, comune della mia terra, per essere intransigente oppositore delle organizzazioni mafiose che volevano imporre il loro potere su quel territorio.
E oggi su quel territorio dobbiamo riportare, in raccordo con il lavoro straordinario della magistratura e delle forze dell’ordine, la forza dello Stato e della politica.
Per questo in questa ottica si rinnova e si rafforza il valore della sede a Reggio Calabria.
In questo senso bene ha fatto il presidente del consiglio Matteo Renzi, a confermare la scelta della sede nel suo recente discorso a RC.
Perché lo Stato è più forte della mafia.
RASSEGNA STAMPA
Ansa del 16 giugno 2014
Il Quotidiano della Calabria 17 giugno 2014
IL TESTO COMPLETO DELL’INTERVENTO
Intervento in aula 16 giugno
LA RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA
Relazione sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie