Gli articoli pubblicati nelle edizioni del 9 e del 10 febbraio della “Provincia di Cosenza”, anche se non firmati, sono da ricondurre alla responsabilità di Gabriele Carchidi, non solo perché egli è direttore responsabile della testata giornalistica, ma anche perché è stato già autore nell’anno 2007 di una vera e propria campagna diffamatoria e denigratoria a mio danno sullo stesso argomento.
A cominciare dalla edizione di martedì 19 Giugno 2007, su quel giornale che anche allora si chiamava “La Provincia cosentina”, e per quasi tutti i giorni successivi, per oltre un mese consecutivamente, il Carchidi mi ha riservato prime pagine, titoli a nove colonne, commenti, cosiddetti retroscena e fotografie espressione di fantasiosi fotomontaggi, tutto al fine di erigere una vera e propria gogna mediatica.
Non ha lesinato ingiurie e ipotesi accusatorie prive di qualsiasi fondamento per tentare di infangare prima ancora che l’immagine politica la mia professionalità.
Da allora ad oggi non soltanto è stata emessa nelle aule giudiziarie una sentenze di piena assoluzione perché il fatto non sussiste, ma in relazione a due querele che a quel tempo avevo proposto nei suoi confronti, il Carchidi è stato rinviato a giudizio. In entrambi i procedimenti penali che si sono celebrati a carico di Carchidi, mi sono costituita parte civile.
Nel momento in cui il processo stava per andare a sentenza, è stato il Carchidi a chiedere, sia personalmente che tramite il suo avvocato, la remissione delle querele rappresentando le proprie scuse nei miei confronti per i contenuti degli articoli pubblicati.
Oltre che con gli atti documentali, la veridicità di quanto affermo può essere testimoniata anche da un amico dell’imputato che ha caldeggiato il mio perdono perché, in seguito ai precedenti penali accumulati da Carchidi, una condanna ulteriore avrebbe determinato la non concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Insomma, ho ritirato le due querele solo perché ho commesso l’ingenuità di ritenere valido anche in questo caso il convincimento secondo cui l’affermazione della verità e la tutela dei miei diritti e delle mie libertà possono essere garantite senza sentirmi responsabile di aver mandato in galera qualcuno.
Non sono pentita della mia decisione, ma sono costretta a prendere atto che probabilmente il modo efficace perché una persona dedita a delinquere si possa redimere è quello di scontare il peso della giusta pena che la giustizia sancisce.
Anche per questo, oggi ho dato incarico al mio legale per proporre querela in relazione all’articolo pubblicato.
A distanza di otto anni Carchidi ha riattivato la macchina del fango copiando e pubblicando integralmente ciò per cui era stato già rinviato a giudizio.
Per la sua reiterata diffamazione sussistono i termini che mi inducono a dovermi difendere da una vera e propria azione di stalking.
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