Articolo su www.roars.it (Return on Academic ReSearch) di Gianfranco Viesti
La debolezza del sistema universitario italiano nel reagire a sette anni di fortissima compressione è anche frutto di politiche di “divide et impera”, attuate attraverso indicatori che hanno ripartito in misura discrezionale e molto selettiva i tagli. Chi è relativamente “protetto” dai tagli tende, comprensibilmente, a protestare meno. Un ulteriore esempio di queste scelte è il D.M. che determinerà l’assunzione di 861 nuovi ricercatori RTDb, una misura insufficiente a bilanciare la riduzione di 7.809 unità fra il 2008 e il 2015. L’allocazione prevista dal D.M. sottintende e mira ad una configurazione sempre più differenziata, presupponendo che all’Italia serva più un ristretto numero di università “forti” che un sistema “forte” nel suo insieme, trascurando gli effetti di sperequazione territoriale (Nord vs. Centro-Sud), con possibili, importanti effetti di lungo termine sul benessere dei diversi territori, e quindi del paese nel suo insieme. Qualcuno potrebbe derubricare la cosa alla protesta di chi “perde”. Ma il punto è che non si tratta di un tema “locale”: ma chi “perde” o “vince” alla fine non può che essere l’università italiana nel suo insieme Continua a leggere
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