Io non credo che la globalizzazione sia un danno, anzi rappresenta una grande opportunità di scambio, di sviluppo, di velocità nelle comunicazioni, della capacità di mettere a fattore comune innovazione e tecnologie.
È del tutto evidente che la globalizzazione mette in discussione tante cose, tante certezze identitarie e anche posizioni che si credevano acquisite.
A queste conseguenze, assolutamente inevitabili, non si può rispondere con demonizzazioni o con i sovranismi o, peggio, ripristinando confini o innalzando muri, peraltro inutili.
Dobbiamo, invece, costruire un nuovo rapporto tra globale e locale, sapendo che locale prima che patria significa territori e, appunto, comunità.
Comunità significa innanzitutto condivisione aldilà della estraniazione del denaro, della finanza.
Significa ricchezza, che non si declina solo con i punti in più del PIl ma anche come ricchezza sociale e culturale.
Significa una idea nuova di mobilità dolce, non invasiva dei territori ma pienamente integrata in essi e nei bisogni delle comunità.
Significa la capacità di ritrovare o creare una nuova e più moderna attrattività dei territori.
Per fare questo serve una politica nuova, basata sul consumo di suolo zero, sul contrasto all’abbandono dei borghi antichi.
In questo senso, durante il mio impegno parlamentare ho assunto iniziative che andavano proprio in questa direzione: penso alla legge, di cui sono stata anche firmataria, per la valorizzazione dei piccoli comuni, penso alla legge sulla tracciabilità dei prodotti in agricoltura che tanto può essere utile per il rilancio di tante produzioni locali (si pensi al ruolo che potrebbe avere, in questo quadro, l’esperienza del mercato di Amantea).
È dentro questo quadro che va intesa, anche da qui, dalla nostra Calabria e dai nostri piccoli comuni (appunto dai nostri borghi) la cosiddetta “economia della condivisione”.
In questo quadro dobbiamo intendere le cooperative di comunità.
Le cooperative di comunità nascono dal basso ma è importante la collaborazione con il comune.
Voglio qui citare l’esperienza della Cooperativa di Melpignano, per come è stata raccontata da Stomeo: «Tutto è cominciato nel giugno 2010, quando partecipai a Cefalù a un convegno sul turismo responsabile con Giuliano Poletti, allora presidente di Legacoop. Poletti accennò a un’idea ancora allo stato embrionale: creare le condizioni affinché i cittadini di un borgo si possano organizzare per autogestire lo sviluppo del proprio territorio».
Da sindaco, intuì subito una grande opportunità di crescita, non solo economica, che la sua comunità poteva avere e si mise a disposizione per una prima sperimentazione sul campo. Dopo un mese erano già nato un gruppo di lavoro con i rappresentanti di Legacoop nazionale e una delegazione dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia. Prese forma in quei giorni l’idea di sperimentare a Melpignano, per la prima volta in Italia, un modello di nuova cooperazione”.
Questa è la strada che dobbiamo percorrere.
Alla politica spetta il compito di creare le condizioni adeguando le legislazioni sia a livello regionale che nazionale per sostenere questi percorsi.
A voi, alle comunità, ai borghi come Fiumefreddo, quello di sostenere, dal basso, la costruzione di questo nuovo modello di sviluppo che parte dal locale e si misura, per governarlo, senza paure e senza muri, con il “mondo grande e terribile” della globalizzazione.
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