Ieri, a Roma, ho partecipato alla tavola rotonda nell’ambito del Forum PA17 “Agenda digitale in ottica di genere”.
In questa legislatura il Parlamento italiano, grazie alla parità di genere, e’ un passo avanti rispetto al resto del Paese: può contare su oltre il 30% di donne tra i suoi componenti. Anche l’intergruppo parlamentare per l’ innovazione, di cui faccio parte, ha una forte presenza di donne. La mia storia: pur laureata in filosofia, sono stata assunta in un’azienda informatica in un momento in cui anche i laureati in filosofia potevano fare percorsi formativi di programmazione, attraverso famoso metodo Warnier che era a metà tra filosofia e matematica. Ho scoperto dunque questo mondo straordinario del digitale alla fine degli anni 80 e ho capito che non sarebbe stato solo un pezzo dello sviluppo ma fondante di una nuova economia. Ed e’ in questo contesto che ho intravisto le opportunità che si offrivano anche a me come donna: proprio in tema di gap di genere il mondo digitale offriva la possibilità di stravolgere i ruoli.
Ho scelto questo tavolo del ForumPA perché rappresenta per me il paradigma più interessante sul digitale: c’è un problema generale di disoccupazione ma c’è un problema particolare di gender divide. Oggi il tema non è tanto quanti studenti si iscrivono alle lauree scientifiche ma anche come sviluppare competenze digitali per chi si iscrive alle lauree umanistiche. Il tema e’ pervasivo perché le competenze richieste nel mondo del lavoro non sempre coincidono col percorso universitario che si è scelto, per cui bisognerebbe incidere fin dalla scuola primaria proprio al fine di fornire tale bagaglio di competenze: programmazione, pensiero computazionale, cittadinanza digitale.
Per fare questo dobbiamo distruggere il mondo per come lo conosciamo finora: il lavoro non è più, e sarà sempre meno, quello del ‘900, il posto fisso dalle 9 alle 17, ma sempre più competenza e capacità di poter affermare la propria creatività. E’ su questa idea che dobbiamo lavorare e sono solo l’innovazione digitale e la quarta rivoluzione industriale a poter rimescolare le carte. Ed è in questo nuovo mondo che le soft skills delle donne possono avere una cittadinanza che prima era inimmaginabile poter avere. Mi aiuta in questo ragionamento uno studio che ha fatto Intribe, giovane start up di donne sui Big data che valuta come lo sviluppo delle competenze digitali potranno consentire un saldo attivo nel gender gap.
La società di consulenza Accenture nella sua ricerca “Getting to Equal 2017” ha appena rilasciato un report che ha analizzato a livello mondiale la situazione accademica e lavorativa di oltre 28.000 soggetti di entrambi i sessi, inclusi studenti universitari, in 29 Paesi, di tutte le fasce di età: se l’Italia saprà adottare il digitale in ambito lavorativo e le donne sapranno diventare abbastanza abili nei settori tecnologici, nel 2049 si potrebbe colmare gender pay gap. Se questa data sembra lontana, senza un adeguata spinta tecnologica e senza un sostegno da parte dello Stato e del mondo accademico, il divario si colmerà molto più tardi: nel 2091.
Questa prospettiva indica che il tema del nostro tempo non e’ più solo la parità di genere ma soprattutto la capacità di rimettere in discussione i ruoli grazie alla tecnologia. Come gli uomini e le donne del pleistocene che ruppero col loro mondo immaginandone uno nuovo e diverso, che oggi e’ il nostro.
25 Novembre: No alla violenza sulle donne
Sono circa 19.600 le donne che hanno affrontato nel 2021 il percorso