Intervento in aula per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Signor Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi,
vorrei oggi, molto rapidamente, parlare non solo della proroga della Commissione d’inchiesta e dell’ottimo lavoro svolto, ma provare a vedere se possiamo dire qualcosa in più su quella che dovrebbe essere la rivoluzione digitale anche nella pubblica amministrazione.
Lo sappiamo da tempo, che la piena attuazione dell’Agenda digitale aumenterebbe il PIL del 5 per cento, e conseguenza diretta di questo effetto positivo sull’economia, nel lungo periodo, sarebbe l’aumento di 3,8 milioni di nuovi posti di lavoro in tutti i settori dell’economia.
Concretamente, il problema dell’economia italiana si chiama produttività, ma dentro questo ragionamento sulla produttività ci sono i dati pubblici: un bene comune e una risorsa che – come afferma Piacentini, commissario governativo all’Agenda digitale, in una recente intervista – “sono come un giacimento petrolifero, una risorsa che può essere esplorata per estrarre valore”.
Ma cosa abbiamo fatto in questi anni per raggiungere risultati di produttività anche nella pubblica amministrazione ?
Abbiamo, sulla scia dell’Unione europea, istituito il 1° marzo 2012 l’Agenda digitale italiana; nel 2015 abbiamo predisposto i Piani nazionali banda ultra larga e crescita digitale, dove sono identificate le linee di azione da realizzare entro il 2020.
Ma per attuare gli obiettivi dell’Agenda digitale italiana è necessario che ci sia il coordinamento delle azioni della pubblica amministrazione, delle imprese, della società.
Proprio per questi obiettivi strategici, alla luce dei compiti istitutivi, l’obiettivo della Commissione parlamentare d’inchiesta è stato quello di indagare l’effettivo livello di digitalizzazione e innovazione nel settore pubblico del nostro Paese, verificando se le risorse stanziate fossero sufficienti e quali fossero le ragioni del divario tra l’Italia e il resto d’Europa.
È necessario ripercorrere brevemente il lavoro della Commissione. A causa del limitato tempo a disposizione, il lavoro si è strutturato in due parti: prima le audizioni sulla storia dell’information technology nella pubblica amministrazione, poi invece l’approfondimento dei singoli filoni di indagine e l’attuazione del CAD tra i 20 maggiori comuni italiani.
La Commissione ha iniziato i propri lavori a novembre 2016, anche se la richiesta è stata nel 2015.
Dalle audizioni e dallo studio della mole documentale è emerso un quadro complesso, nel quale è stato difficoltoso persino stimare precisamente i costi della spesa per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ma andiamo con ordine. Il tentativo di riformare la Pa semplificandola soprattutto attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche non nasce da oggi: dobbiamo andare al 1993, per poi proseguire nel 1997, fino all’introduzione della carta di identità elettronica, e poi nel 2005 il Codice dell’amministrazione digitale, riformato nel 2016.
Con la riforma del Codice dell’amministrazione digitale, che si è avuta nel corso di questa legislatura, si è voluto proprio promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale dei cittadini e delle imprese; e nella stessa riforma si è istituita la figura del commissario governativo dell’Agenda digitale.
Ma a proposito della spesa in informatica nella pubblica amministrazione, con la delegazione Consip il 24 novembre abbiamo subito capito come fosse evidente l’impossibilità di una ricognizione esatta, dal momento che solo il 24 per cento della spesa pubblica italiana in information technology passa attraverso la Consip.
Abbiamo provato a fare una ulteriore ricognizione attraverso la banca dati dei contratti pubblici, ma anche qui abbiamo trovato dei dati frammentari, non ripuliti.
Durante tutto il corso dell’indagine, la Commissione ha tentato un approccio tecnologico con un duplice obiettivo: informativo, per vedere la distribuzione della spesa, e dimostrativo, per capire come invece questi dati possono diventare accessibili.
Noi abbiamo in questo momento un mercato mondiale dell’information technology che ammonta a 4.000 miliardi; il mercato italiano complessivo vale l’1,6 per cento di questo mercato.
Sarebbe però importante che tutti quanti riuscissimo ad entrare dentro questo ragionamento della rivoluzione digitale e domandarci tutti quanti se il 9 per cento del mercato italiano, che è la spesa pubblica digitale, pari a 5,5 miliardi all’anno, è una spesa troppo alta o troppo bassa.
La metà di questi soldi si spendono per la pubblica amministrazione centrale, un quarto per gli enti locali, un quarto per la sanità.
Però, nonostante, come ricordato nella relazione di questa Commissione, il CNEL avesse, già nel 1981 affermato che “un moderno processo di riforma della pubblica amministrazione non può prescindere da un utilizzo razionale dell’informatica”, la mancanza di consapevolezza del digitale, dall’81 ad oggi, ha portato la PA negli anni a non dotarsi di competenze tecnologiche, manageriali e informatiche.
Dall’audizione, l’hanno detto anche i colleghi, emerge più volte che mancano le competenze interne e l’amministrazione invece di reclutarle, sceglie di fare ricorso al mercato.
C’è una scarsa capacità di controllo della qualità della spesa, e la mancanza di adeguate competenze interne impedisce alla PA di contrattare adeguatamente con i fornitori, di progettare correttamente le soluzioni necessarie, di scrivere bandi di gara che selezionino il prodotto e il servizio più adeguati e, infine, di controllare efficacemente lo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni informatiche.
Si portano avanti i progetti, spesso con ritardi inaccettabili, e anche quando sono conclusi, sembra che non sia cambiato niente. Lo scarsissimo utilizzo inoltre dei servizi on line da parte dei cittadini, e ancora di più i frequenti disservizi, sono tutti sintomi di una spesa inefficiente.
La Commissione d’inchiesta ha constatato che molto raramente la PA committente si pone il problema di misurare l’efficacia e la qualità della digitalizzazione.
Quindi, da una parte, visto il ritardo accumulato nel nostro Paese, è auspicabile che la spesa aumenti, ma dall’altra è necessario che si immetta una massiccia dose di competenza nella pubblica amministrazione. È questo uno dei nodi da sciogliere.
Alla base di ogni problematica c’è la mancanza di digital skill, specie nelle posizioni apicali.
Il vero problema della spesa in innovazione della PA è che non si passa prima attraverso processi di semplificazione, che devono inevitabilmente essere precedenti all’investimento: bisogna sapere prima cosa serve in funzione della semplificazione dei processi amministrativi e della relazione con il cittadino, che poi è quello che userà sostanzialmente i servizi.
Se si ha in testa questa visione strategica, allora sì che si possono attivare gare funzionali all’obiettivo, altrimenti il rischio che si avviino procedure per digitalizzare processi che non solo non incidono, ma si vanno a sovrapporre alla realtà esistente. Il tema, dunque, è bilanciare la spesa per la trasformazione digitale della pubblica amministrazione, ma soprattutto investire nelle risorse umane.
Quindi prima di parlare di come dovrebbe essere fatta e quanto dovrebbe costare, la domanda è: a cosa serve l’informatica nella pubblica amministrazione? Ancora Piacentini afferma: “il problema non è tanto la digitalizzazione mancante, quanto il fatto che i processi siano troppo complicati. Serve la rottura dei silos; oggi non esistono le condizioni tecniche per innovare i processi perché le pubbliche amministrazioni sono dei silos che non parlano e se parlano, parlano attraverso pec, magari facendo una copia dei dati, invece di condividerli nello stesso posto.”
Dobbiamo dunque arrivare a fare quello che si sta facendo con “industria 4.0”: la condivisione, la realizzazione di un core framework trasversale a tutta la pubblica amministrazione, che metta a fattore comune i dati.
Quindi, concludendo, l’aspetto più evidente emerso durante i dodici mesi di inchiesta della Commissione è il fatto, appunto, che le pubbliche amministrazioni approcciano al tema del digitale in modo episodico e non organico.
Per questo riteniamo che la proroga della Commissione fino a fine legislatura serva a monitorare l’avanzamento dei progetti, ad aprire nuove prospettive su indagini strategiche, quale il fascicolo sanitario, analizzare e valutare con maggiore chiarezza la quantità e la quantità della spesa ICT.
RESOCONTO STENOGRAFICO
Resoconto stenografico