Sostegno al reddito: il Pd lo ha fatto. Ora tocca a loro.

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In Europa, solo Italia e Grecia non avevano mai disposto di una misura universale di contrasto alla povertà.
In Italia, lo ha fatto per la prima volta il Pd con i governi Renzi e Gentiloni.
La rivendicazione di una misura di sostegno al reddito, sin dall’inizio degli anni ‘70, è stato obiettivo di lotta dei movimenti di sinistra fortemente caratterizzati dalla critica al modello fordista.
In Calabria nel 2010, ancor prima di essere eletta deputata, abbiamo portato avanti come Pd una iniziativa popolare culminata con la raccolta di oltre 10mila firme per la sperimentazione di una forma di reddito minimo su scala regionale.
Da parlamentare, oltre ad avere presentato una mia proposta e sostenuto il disegno di legge di iniziativa popolare consegnato nell’aprile 2013 alla presidenza della Camera, sono stata partecipe  dell’introduzione del reddito di inclusione (REI) varato nell’aprile del 2017 e che nel dicembre dello stesso anno ha concretamente preso avvio raggiungendo già, come dimostrano i dati presentati proprio in questi giorni, 900mila persone in condizione di povertà e che dal primo luglio consentirà anche agli individui (e non più soltanto ai nuclei familiari) di presentare domanda, fino a coprire una platea potenziale di circa 2 milioni e mezzo di persone.
Insomma, non stiamo parlando di una proposta da realizzare, ma di circa un milione di persone in carne ed ossa che in questo momento già stanno percependo un sostegno al reddito.
D’altra parte quello che i 5 stelle propongono non è (per loro stessa ammissione) un reddito di cittadinanza bensì un reddito minimo.
Il reddito di cittadinanza, infatti, è una misura incondizionata riconosciuta a tutti i cittadini residenti, a prescindere dalle loro condizioni di reddito. Attualmente esiste solo in Alaska.
La proposta di legge del M5S è invece (così come il REI), l’erogazione di un sostegno al reddito, condizionata.
Infatti, secondo i 5 stelle:
-possono accedervi tutti i cittadini che percepiscono un reddito inferiore a 9.360 euro annui;
– è abbinata a misure di recupero lavorativo, formativo e di re-inclusione sociale.

Variano, per adesso, le cifre e le modalità di erogazione ma il quadro di riferimento generale è lo stesso.
In questo senso possiamo dire che il reddito di cittadinanza esiste già ed è il REI.  Si tratta solo di aumentare la dotazione finanziaria generale, aumentare il tetto del contributo finanziario individuale e renderlo una misura che permane fino a quando non si modificano le condizioni di ingresso.
L’obiettivo, in prima battuta, è di raggiungere quei 4,5 milioni di individui che oggi si trovano sotto la soglia di povertà assoluta censita dall’ISTAT (6000 euro annui di ISEE).
Allora, bando alla propaganda elettorale.
Nella precedente legislatura parlamentare, nonostante il voto contrario del M5S, è stata già tracciata la strada giusta. Si dismettano le vesti del populismo ed il M5S si misuri nella propria effettiva capacità di governo.
Noi anche dall’opposizione sosterremmo politiche di inclusione e giustizia sociale.
Continuare su questa linea significa affrontare una radicale riforma del welfare che superi definitivamente un impianto novecentesco e affronti la questione strutturale della separazione tra previdenza e assistenza.
In nessuna parte d’Europa, il reddito di dignità, di inclusione o minimo sono considerati misure assistenziali, ma moderni strumenti di welfare che consentono alle società di affrontare le crisi economiche, sostenendo la domanda interna ed evitando lo scivolamento (cosa che è avvenuta in Italia) di fasce sempre più grandi di popolazione nelle aree della povertà e quindi della marginalità ed esclusione sociale.
Il livello strutturale della grande crisi induce necessariamente a prendere atto, definitivamente, che la nuova frontiera dei diritti non passa più attraverso il diritto al lavoro per come lo abbiamo conosciuto nel ‘900 ma, prima di tutto, attraverso il diritto al reddito a tutela di una esistenza  dignitosa.
Crollato il vecchio mito del “patto dei produttori”, a differenza dei decenni passati, oggi va ripensato l’attuale modello di sviluppo nel quadro di una società in cui il lavoro produttivo occuperà, anche nostro malgrado, un ruolo sempre più marginale nella vita dell’uomo.
Il nodo da sciogliere, dunque, è il seguente: arrendersi ed inseguire in maniera subalterna l’impostazione delle destre populiste di tutto il globo che si chiudono nella difesa del poco lavoro all’interno dei confini nazionali, innalzando muri, promuovendo dazi ed indicando come capri espiatori i “cattivi immigrati che ci rubano il lavoro”? Oppure misurarsi con la vera sfida riformista scegliendo di governare le opportunità che il nuovo modello dell’economia digitale ci propone, affrontando con decisione la questione della riforma del sistema fiscale e di quello di welfare e puntando finalmente ad una più equa distribuzione della ricchezza ?
Quando è stato votato il REI in Parlamento forse non c’era sufficiente consapevolezza che su questo tema si sarebbe misurata la capacità di ricostruzione dello stesso progetto riformista che la sconfitta del 4 marzo  prepotentemente impone.
Personalmente ritengo che proprio su questa sfida, quella della innovazione e del welfare, sia necessario riposizionare non solo il PD ma il profilo culturale e programmatico delle forze democratiche e della sinistra in Europa.

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