L’8 novembre scorso ho colto con grande piacere l’invito della Camera Penale di Reggio Calabria “G. SARDIELLO” a partecipare all’incontro-dibattitto “Fine processo mai”.
La mia posizione sulla prescrizione, da garantista, è chiara e nota tutti e ringrazio il presidente avv. Francesco Calabrese e l’avv. Gianpaolo Catanzariti per avermi dato questa ulteriore e importante occasione per ribadirla e confrontarmi con gli operatori del diritto calabresi. Innanzittutto concordo con la posizione avversa alla riforma degli avvocati penalisti e dell’Unione Camere penali che hanno manifestato il loro dissenso con innumerevoli scioperi, il prossimo indetto dal 2 al 6 dicembre.Per citare il Presidente nazionale Caiazza: “già oggi, con la riforma Orlando” (che anche io ho criticato in molte sue parti), “ci sono reati che si prescrivono in oltre vent’anni e la patologia sono i vent’anni e non la prescrizione” e ancora “la riforma della prescrizione è una bomba atomica che decuplicherà i tempi dei processi”.
A che punto siamo?
Non c’è accordo nella maggioranza sulla prescrizione. Da una parte PD, IV e LeU, dall’altra M5S. Anche il vertice di governo si è concluso con un nulla di fatto: resta in sospeso la legge delega che dovrebbe velocizzare i processi portando la durata a 4 anni e il ddl Bonafede è oggetto di proteste poiché entrerà comunque in vigore il 1 gennaio. L’imminente apertura della sessione di Bilancio ha costretto a rinviare la discussione parlamentare sulla giustizia, ma è il vero nodo politico da sciogliere nella maggioranza di governo.
Innanzitutto vorrei cogliere la sollecitazione del Presidente delle Camere penali ad un rinvio della data di entrata in vigore del cosidetto “Spazzacorrotti”.Mentre il Ministro resta dell’idea che la soluzione sia l’abolizione della prescrizione, noi garantisti crediamo che debbano sempre prevalere i diritti dell’imputato, al quale la Costituzione garantisce la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva e un processo di ragionevole durata. O stiamo andando verso la creazione di nuove figure giuridiche, quali il presunto colpevole e il presunto innocente a vita, a seconda se in primo grado vi sia condanna o assoluzione? Perché lo stop alla prescrizione varrà sia in caso di condanna che di assoluzione di primo grado.
La verità che la prescrizione è solo una bandiera mentre la riforma del processo penale deve poggiare su due pilastri: il giusto processo e la durata.Il pilastro della durata è stata già oggetto di sanzioni da parte della Commissione europea che. Nella “Relazione per Paese relativa all’Italia 2019 comprensiva dell’esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici” del 27 febbraio 2019, è riportato come non vi sia stato nessun progresso nella riduzione della durata dei processi e sottolineata la necessità di nuovi sforzi per migliorare il sistema giudiziario.Non si può indebolire il pilastro del giusto processo altrimenti entreremmo nella fase dei processi sommari tipici dei regimi illiberali. La cancellazione, perché di fatto di questo stiamo parlando, della prescrizione, se ne analizzassimo gli effetti, scopriremmo che, paradossalmente, allungherebbe i processi.Dovremmo agire, invece, sull’inefficienza del sistema giudiziario che non permette di emettere sentenze in tempi adeguati. Sarebbe una sconfitta della presunzione di innocenza che colpisce tanti, troppi cittadini. Si giunge alla verità giudiziaria dopo processi troppo lunghi e si commetterebbe una doppia ingiustizia facendo diventare colpevole un presunto colpevole fino alla declaratoria di innocenza!
Bisognerebbe, invece, avere il coraggio di affrontare i dossier seri della riforma della giustizia, laicamente e liberi da vincoli ideologici.
Dalla separazione delle carriere alla discrezionalità dell’azione legale
La magistratura, come ci dice l’art.104 della Costituzione, è un ordine autonomo e indipendente, la scelta dei componenti togati del CSM, può minare la terzietà del giudice come dice l’art.111 della Costituzione. E’ necessario introdurre una separazione in sede di autogoverno tra giudici e procuratori, simile a quella presente in alcuni stati europei: Portogallo, Spagna e in certa misura in Francia.Insomma, iniziando a tracciare un confine tra magistratura inquirente e giudicante senza minarne autonomia e indipendenza.In Europa, la Germania, la Spagna e il Portogallo hanno abbandonato la posizione che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale elimini ogni margine per scelte discrezionali incontrollate, limitando lo spazio dell’obbligatorietà.
Calamandrei addirittura immaginò un Procuratore generale, scelto dal Presidente della Repubblica su proposta della Camera dei deputati, membro di diritto del CSM che avrebbe preso parte anche al Consiglio dei ministri, legato da uno speciale rapporto fiduciario con le Camere.
Solo l’Italia, in nome dell’autonomia e dell’indipendenza, presenta questo assetto di completa indistinzione tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti.
Già la Corte costituzionale, nell’ammettere il referendum promosso dal Partito radicale sulla separazione delle carriere, riconobbe la separazione (allo stesso modo dell’unicità) come né preclusa né imposta dalla Costituzione in questi termini: “La Costituzione, infatti, pur considerando la magistratura come un unico “ordine”, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti”.Se autonomia e indipendenza sono strumentali al mantenimento dell’imparzialità, è ragionevole ritenere compatibile l’imparzialità con la possibilità di occupare posizioni di vertice negli staff dei ministri e negli uffici di gabinetto, potendo poi ad incarico terminato ritornare al proprio lavoro di magistrato? In una recente ricerca è emerge che nel gruppo dei gabinettisti più gettonato i magistrati sono il 67% del totale. E se non è ragionevole, come introdurre gli opportuni meccanismi in grado di bloccare non solo le porte girevoli tra magistratura e politica ma anche quelle tra magistratura e alta burocrazia ministeriale?
Contrariamente all’opinione comune, nel rapporto tra politica e giustizia e la tutela dei diritti individuali nel funzionamento del sistema giudiziario si è fatto tanto, forse troppo: dal 1989 al 2015 si sono susseguiti 113 interventi di riforma. Eppure non siamo soddisfatti.
Perché? Volendo mutuare una vecchia formula dal dibattito sulla forma di governo si tratta di riforme che hanno toccato i rami bassi del sistema, quelli organizzativi e gestionali. I rami alti, quelli che toccano l’ordinamento costituzionale, sono sempre restati fuori dal tavolo, con alcune importanti eccezioni: il principio del giusto processo, la riforma dell’immunità parlamentare, e ancor più indietro la riforma del procedimento per i reati ministeriali.
Possiamo ricavare quello di cui abbiamo bisogno tutto e solo dall’art.111 della Costituzione, con interventi legislativi ordinari? Oppure una modifica della prescrizione con legge ordinaria in realtà ha un effetto lesivo delle garanzie contenute proprio nell’art. 111 della Costituzione ? Il blocco della prescrizione scende sotto quel livello di garanzie. Questo è il punto politico. Quanto il PD oggi vuole e può spingersi in questa direzione?
La pdl costituzionale di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere tra giudici e PM sarà un primo banco di prova della volontà del PD di farsi baluardo dei diritti liberali. Sulla scorta della legge di iniziativa popolare è nato l’intergruppo parlamentare di cui faccio parte insieme al promotore on.Costa, non a caso anche primo firmatario di una proposta di abolizione della riforma della prescrizione, a conferma di come i due temi siano molto legati. Ci sono cose da fare subito, sulle quali il PD dovrà mostrarsi meno cedevole di quanto abbia fatto nella fase di formazione del governo. La prima è: bloccare l’entrata in vigore delle nuove disposizioni sulla prescrizione.
Occorre poi fare pace con il dato per cui la prescrizione “garantisce l’impunità”.
La verità, al di là dello slogan, è che la prescrizione garantisce la “non punibilità” solo quando, secondo la valutazione della legge, punire è diventato ormai intollerabile e contrario al rispetto della persona; quando, in definitiva, la punizione non è più manifestazione del potere dello Stato di usare la forza per sanzionare i comportamenti incriminati, ma rappresenta l’autorità arbitraria e cieca che annienta l’individuo a proprio piacimento. Giovanni Fiandaca scrive giustamente di un tempo di ossessione repressiva, di populismo giudiziario, nel quale avanza l’illusione che il “panpunitivismo” sia il migliore rimedio a ogni male sociale. E questa ossessione repressiva, lungi dal rimanere circoscritta alle forze conservatrici, ha contagiato anche le forze progressiste.”
La razionalità è la vera essenza della giustizia, perché la giustizia compiuta senza razionalità corre sempre il rischio di non essere giustizia, per citare il Quentin Tarantino di Hateful eight.
Abolire la prescrizione dopo il primo grado di giudizio significa sequestrare a vita gli indagati, col paradosso che un imputato assolto con la sentenza di primo grado anziché uscire definitivamente dal processo, come sarebbe sensato, potrebbe rimanere sotto inchiesta per sempre.
Saremo tutti cittadini colpevoli in attesa di essere scoperti, secondo la visione cara a Piercamillo Davigo. La ragionevole durata dei processi e la prescrizione sono principi non negoziabili per una forza democratica.
Il Pd non può esserne complice anzi deve rafforzare le difese immunitarie della Repubblica. Il cedimento di Orlando, l’incomprensibile adesione di Renzi all’ipotesi di sorteggio per il CSM e l’incredibile decisione del Pd umbro di imporre una penale da 30 mila euro ai consiglieri regionali che cambiano casacca dimostrano invece che il contagio è in atto. Urge antidoto. Urge stimolare gli anticorpi per evitare il contagio.