Il 7 giugno 1984 moriva Enrico Berlinguer. E con lui un’epoca.
«Molti sguardi si cercavano, fra le file, e in molti Ernesto colse la sua stessa percezione, che nulla sarebbe stato più come prima, che quel modello di partito che il vecchio Segretario aveva sviluppato a modo suo, difendendolo fino alla morte, era perito con lui e forse prima di lui…». Ernesto, funzionario del Pci, protagonista del romanzo di Enrico Menduni “Caro Pci” .
Quando muore un leader, improvvisamente, si ha subito la percezione che niente sarebbe più stato come prima.
E il dopo, invece di costringere ad imparare dagli errori del passato, spesso ne svuota il guscio e li lascia fermentare fino a diventare colpe irreparabili.
Così è stato per il PCI, che certo doveva essere superato, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, ma non poteva essere rinnegato senza fare i conti con la propria storia.
E oggi dopo 36 anni abbiamo un partito maldiretto da un gruppo dirigente senza carisma, ma con tutti i vizi del minoritarismo comunista.
Aveva ragione Orfini quando ha cercato in tutti i modi di opporsi alla celebrazione stanca di un congresso di un Pd senza storia che ha eletto per inerzia Nicola Zingaretti.
E allora facciamolo adesso! Sciogliamo il Pd.
Ma non per fare piccoli patteggiamenti con Leu e qualcos’altro.
Una rifondazione che parta da quel tragico giugno 1984, passando per la Bolognina fino al 2007.
Il Covid ha scoperto molti errori nel modello di sviluppo dell’Occidente.
E noi siamo una parte di essi.
Più presto ce ne accorgiamo meglio sarà per tutti.