Da tempo l’Europa invita gli Stati membri ad intervenire su fake news e disinformazione online.
Ecco perché è necessaria in Italia l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta.
Il mio intervento in Aula ha affrontato innanzitutto il problema del ruolo delle piattaforme tecnologiche e della pubblicità online sulla diffusione massiva di informazioni false. E’ importante condividere la definizione di disinformazione, che io credo debba essere quella della Commissione europea, ovvero: “l’attività di disinformazione è un’informazione, rivelatasi falsa o fuorviante, concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro e per ingannare intenzionalmente il pubblico”.
Ci troviamo sia sul web sia su altri mezzi, spesso di fronte a novelli eristi, che professano le loro post verità, infarcite di argomentazioni speciose. Agli eristi non interessa minimamente, secondo la filosofia sofista, quale sia la tesi da confutare o affermare: l’importante è affermarla, anche usando falsificazioni; non si cerca la verità, si cerca di far fuori l’avversario, magari soprattutto politico. Questo è un altro punto importante: le notizie politiche false sono le più virali.
Ad esempio: non si capisce perché sui media e sui social non venga mai data la stessa eco alle sentenze che proclamano l’innocenza di persone incriminate, o ancora peggio arrestate durante operazioni giudiziarie e retate a strascico, costruite con gli stessi criteri di fake news virali e artefatte per conquistare le prime pagine dei giornali, con grave nocumento della reputazione individuale e spesso senza neanche poi rispettare il diritto all’oblio.
La rete Internet ha certamente rivoluzionato il modo con cui comunichiamo e ci informiamo: è cresciuta la capacità di ciascuno di noi di interagire con gli altri, di esprimere le proprie opinioni, di raccogliere informazioni senza bisogno di rivolgersi per forza ai media tradizionali. Oggi, però, proprio a causa di deliberate attività di disinformazione, la libertà della rete e le occasioni di maggiore partecipazione che questa offre alla vita sociale sono seriamente minacciate dalle informazioni false e dai discorsi d’odio che si diffondono online.
D’altronde è mutato anche il modello pubblicitario che oggi dipende dal numero di click e premia i contenuti virali: in questo modo si agevola l’inserimento di annunci pubblicitari sui siti web che pubblicano contenuti sensazionalistici, che fanno a loro volta leva sull’emotività dell’utente.
In tale contesto, oltretutto, l’automatismo dei sistemi di compravendita di pubblicità, completamente privo di adeguate misure di trasparenza, consente di vendere target allo scopo di massimizzare le impression servite o i click sui banner pubblicitari, piuttosto che sui contenuti.
Siamo quindi di fronte all’urgenza democratica di regolamentare un sistema che, con grandi opportunità, porta con sé anche i rischi di un degrado e addirittura della negazione dello stesso concetto di libertà dell’informazione. Le regole che la UE ha già indicato.
Il momento è ora ! Del resto
con l’approvazione, nel Consiglio europeo, del Recovery Fund, abbiamo sempre più il dovere di essere un Parlamento europeista!
Intervento in aula su Commissione d’inchiesta contro le fake news