CATANZARO- «Quanto tutto questo sia lontano dal modello di indagini delineato dal codice di procedura penale è sin troppo chiaro e manifesto». E’ tra le frasi più tenui che il Gup di Catanzaro, Abigail Mellace, ha utilizzato nelle corpose motivazioni della sentenza del processo Why Not. Il resto è un festival di «gravissime condotte», «fatti inquietanti e inauditi», «violazione di norme penali e disciplinari», «profili di illegittimità», «alterazione della genuinità dell’inchiesta». Il riferimento non è agli imputati ma, drammaticamente, a quanti a vario titolo hanno condotto e gestito le indagini. A partire dall’ideologo, l’ex pm De Magistris, passando per la principale teste d’accusa, Caterina Merante e il principale collaboratore dell’ex pm, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Chiaravalloti. Senza escludere per il futuro il coinvolgimento di importanti ufficiali di polizia giudiziaria e, verosimilmente, di un altro magistrato. Si vedrà.
Una storia intricata, fatta di verbali che spariscono, altri che vengono modificati, pressioni su testimoni, cambi di versione delle dichiarazioni, raggiro di procuratori generali, sospetta coincidenza delle date di interrogatorio di testimoni ed indagati in due diverse procure che lavoravano sugli stessi fatti (Paola e Catanzaro), interrogatori di gruppo degli indagati, e chi più ne ha più ne metta. Non fa sconti Abigail Mellace, tant’è che trasmette tutto alla procura generale per le «opportune valutazioni dei profili penali». Tradotto in parole povere, il messaggio del giudice è più o meno questo: «Indagate su questo e quello perché sinora abbiamo rincorso le farfalle rovesciando su un numero indefinito di persone responsabilità che non avevano».
Data la premessa che l’intera impalcatura messa in opera dal responsabile per la giustizia di Idv fosse informata da esigenze da «verità televisiva e non giudiziaria», man mano che le 944 pagine della sentenza scorrono, emergono elementi sinora sconosciuti e che, al tempo stesso, rendono l’idea di che cosa sia realmente accaduto in Calabria. Si comincia con la strana sparizione dal faldone processuale del primo interrogatorio della Merante ad opera dell’ex pm. De Magistris aveva convocato l’accusatrice numero 1 dell’«inesistente sistema Saladino» (parole del gup) il 16 ottobre 2007 per il giorno successivo alle 9,30. Doveva essere ascoltata come “persona informata sui fatti”, in quanto 4 giorni prima l’ex pm era già partito lancia in resta con un decreto di sequestro probatorio a carico del principale imputato, Tonino Saladino. Per il giudice, però, il problema sorge quando scopre che di quel verbale non c’è traccia. E lo scrive a chiare lettere a pag. 148. Questo perché il primo incontro ufficiale tra la Merante e De Magistris risulta avvenuto il 26 marzo in una “località segreta” e per “ragioni di sicurezza” alla presenza del pm e del maresciallo. E quello del 17 ottobre? Mistero. Quel verbale sarà fonte di guai per la stessa Merante, il carabiniere e un misterioso manipolatore: perché il gup Mellace (che secondo una nota stampa di ieri di De Magistris non poteva occuparsi del caso per ragioni che renderà poi pubbliche) rileva che tra questo verbale, dove iniziò la favoletta della Loggia di S. Marino (nata da una scherzosa mail tra la manager calabrese Enza Bruno Bossio, assolta anche lei) e quello del 21 novembre (ad un mese dall’avocazione) «emerge che quest’ultimo è stato completamente modificato con l’aggiunta di fatti e precisazioni che cambiano completamente il significato delle precedenti dichiarazioni». Una «emergenza del tutto incomprensibile e al tempo stesso grave ed inquietante» conclude il gup. Così come un’altra, dove il braccio operativo del pm, si diceva insoddisfatto del verbale reso da un testimone perché «non combacia con la nostra tesi accusatoria», invitandolo pertanto ad una nuova seduta. Roba da brividi.
Gli stessi che probabilmente prova oggi Caterina Merante, sul cui capo pendono una decina di capi d’accusa al vaglio della procura generale di Catanzaro. La titolare della Why Not ha annunciato clamorose rivelazioni nel corso di una conferenza stampa organizzata per i prossimi giorni.
PEPPE RINALDI
(ripreso dal quotidiano libero)