Pubblicato su “Il Quotidiano” dell’11 ottobre 2016
Considero politicamente assai rilevante la posizione che emerge dall’ultimo Rapporto della Caritas sulla povertà in Italia.
Si tratta, infatti, di uno sforzo di analisi molto importante che aggredisce con decisione quello che è la vera questione della lotta alla povertà nel nostro Paese. La povertà ha cessato di essere il problema di fasce marginali della società per diventare un fenomeno che attraversa ormai trasversalmente fasce sociali che prima ne erano escluse.
E’ la stessa Caritas, dunque, a dirci oggi che è necessario il superamento della tradizionale visione “caritatevole” della lotta alla povertà per approdare, finalmente, all’idea del “diritto al reddito”.
Va dato atto al Governo di avere compiuto in questi mesi notevoli passi in avanti con la trasformazione della vecchia social card, prima limitata solo ad alcune aree del Paese, nel SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) per i quali tutti i comuni italiani hanno emanato, proprio nelle ultime settimane, i relativi bandi.
Ma non basta. Le risorse continuano ad essere insufficienti almeno per aggredire l’emergenza della povertà assoluta che non solo non regredisce ma addirittura aumenta.
La delega al Governo che abbiamo votato in parlamento nei mesi scorsi punta alla implementazione del cosiddetto “reddito di inclusione” per il quale è necessario aumentare considerevolmente, sin dalla prossima legge di stabilità, le risorse finanziarie disponibili per giungere, in pochi anni, alla cifra di 7 miliardi di euro che da più parti è stata indicata come appena sufficiente per garantire la copertura della domanda.
La stessa cifra che, mi preme ricordarlo, indicavamo già nel maggio 2015 in un convegno nazionale a Cosenza dedicato proprio al reddito minimo e che non è assolutamente fuori dalla portata della finanza pubblica, dal momento che, ad esempio, la famosa misura degli 80 euro è costata circa 10 miliardi.
Significativa, inoltre, è la scelta compiuta dal presidente della Giunta Regionale Calabrese Mario Oliverio di assumere iniziative volte ad integrare con risorse autonome la dotazione finanziaria del SIA.
Il reddito di inclusione può quindi divenire una realtà concreta soprattutto se si accompagnerà ad un’auspicata ed ormai urgente riforma del welfare italiano che continua ad essere tra i più costosi e ingiusti d’Europa.
Un welfare equo dovrà provvedere non soltanto a garantire tutele per chi il lavoro lo ha perso ma dovrà anche rivolgersi al diritto di chi il lavoro non lo ha mai incontrato.
L’attivazione di questa misura non ha, oltretutto, un carattere assistenziale; al contrario favorisce la crescita produttiva perché è protesa ad elevare i consumi.
Faccio pertanto mio l’appello contenuto nel rapporto Caritas: “Non fermiamo la riforma”.
Nella prospettiva di affermare anche in Italia ciò che in altri paesi è ormai da tempo una realtà concreta, il diritto al reddito e ad una esistenza dignitosa.
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